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Fra la chiesa cattolica e l'ebraismo Chiesa Cattolica ed Ebraismo
Paolo VI
El Vaticano (1975/10)
Signori,
cattolici ed ebrei, membri del Comitato di collegamento fra la chiesa cattolica e l'ebraismo mondiale, avete deciso, poco più di un anno fa, nella vostra riunione di Anversa, di tenere a Roma la vostra quarta riunione annuale. Ci rallegriamo di questa decisione di riunirvi per questa volta nella città che è il centro della chiesa cattolica: ciò ha reso possibile l' incontro fraterno di questa mattina.
La vostra sessione si tiene poco tempo dopo la costituzione, avvenuta nel mese d'ottobre scorso, di una Commissione della chiesa cattolica per le relazioni religiose con l'ebraismo, il cui primo atto importante è stato quello di pubblicare, pochi giorni or sono, degli Orientamenti e suggerimenti per l'applicazione della Dichiarazione conciliare Nostra Aetate nel campo delle relazioni ebreo-cristiane.
Non torniamo qui sui particolari di questo documento che è indirizzato ai fedeli della chiesa cattolica dalla sua autorità centrale e che senza dubbio ha costituito, insieme alla questione dei diritti dell'uomo e ad altri problemi, uno degli argomenti di studio e di comune riflessione che hanno occupato la vostra sessione.
Tale testo evoca le difficoltà e le contrapposizioni, con tutto ciò che essi hanno potuto avere di spiacevole, che hanno segnato le relazioni fra ebrei e cristiani nel corso di questi duemila anni. Se un tale richiamo è salutare e indispensabile, non bisognerebbe dimenticare che tra noi ci sono stati, nel corso dei secoli, anche rapporti diversi e niente affatto ostili. Sono ancora numerosi coloro che possono testimoniare quanto ha fatto la chiesa cattolica durante l'ultima guerra, a Roma stessa, sotto l'energico impulso di papa Pio XII - ne siamo personalmente testimoni -, e da innumerevoli vescovi, preti e fedeli di diversi paesi europei, per sottrarre, talvolta a rischio della propria vita, degli ebrei innocenti alla persecuzione.
D'altra parte, guardando all'insieme della storia, come non notare i rapporti, tanto spesso troppo poco conosciuti, tra il pensiero ebraico e il pensiero cristiano. Ricordiamo qui soltanto l'influenza esercitata in diverse epoche negli ambienti più qualificati della riflessione cristiana dal pensiero del grande Filone d'Alessandria, considerato da Gerolamo come il me «Il più grande sapiente fra gli ebrei», giudizio ripreso, fra gli altri, dal dottore francescano Bonaventura da Bagnoregio. Anzi, precisamente per il fatto che la chiesa cattolica ha appena commemorato, contemporaneamente al settimo centenario della morte di Bonaventura da Bagnoregio, quello del famosissimo filosofo e teologo Tommaso d'Aquino, morto come Bonaventura ne1 1274, ci vengono immediatamente allo spirito i numerosi riferimenti del nostro Dottore Angelico all'opera del sapiente rabbino di Cordoba morto in Egitto all'aurora del tredicesimo secolo, Moshe ben Maimon, in particolare alle sue spiegazioni della Legge mosaica e dei precetti dell'ebraismo.
Da parte sua, il pensiero di Tommaso d' Aquino doveva diffondersi a il sua volta nella tradizione scolastica dell'ebraismo medievale: come hanno per esempio mostrato le ricerche del professori Charles Touati, dell'École des Hautes Études di Parigi, e Joseph Sermoneta, dell'Università ebraica di Gerusalemme, è esistita nell'occidente latino, alla fine del tredicesimo e nel corso del quattordicesimo secolo, tutta una scuola tomistica ebraica.
Questi non sono che alcuni esempi fra molti possibili. Essi testimoniano che sono esistite, in epoche diverse, ad un certo livello, una vera e profonda stima reciproca e la convinzione che avevamo qualcosa da imparare gli uni dagli altri.
Formuliamo ora, cari signori, l'augurio sincero che, in una forma appropriata alla nostra epoca e perciò in settori che superano in qualche modo il campo limitato degli scambi puramente speculativi e razionali, si possa instaurare un autentico dialogo fra l'ebraismo ed il cristianesimo.
La vostra presenza qui, come rappresentanti fra i più autorizzati dell'ebraismo mondiale, testimonia che questo mio augurio personale trova in voi una qualche eco. I termini nei quali l'esprimiamo, l'assistenza dello zelante cardinale presidente della Commissione per le relazioni religiose con l'ebraismo, quella dei nostri confratelli nell'episcopato, l'arcivescovo di Marsiglia e il vescovo di Brooklyn, vi dicono abbastanza con quale lealtà e con quale decisione collegiale la chiesa cattolica desidera che si sviluppi attualmente questo dialogo con l'ebraismo, al quale ci ha invitato il concilio Vaticano II con la Dichiarazione Nostra Aetate (n. 4).
Confidiamo che un tale dialogo, condotto avanti in un grande rispetto reciproco, ci aiuterà a conoscerci meglio e ci guiderà gli uni e gli altri anche a conoscere meglio l'Onnipotente, l'Eterno, a seguire più fedelmente il cammino che ci ha tracciato colui che, secondo le parole del profeta Osea, è in mezzo a noi il santo, che non ama distruggere (Os 11,9).
Osiamo pensare che la recente riaffermazione solenne del ripudio da parte della chiesa cattolica di ogni forma d'antisemitismo, e l'invito che abbiamo rivolto a tutti i fedeli della chiesa cattolica di mettersi in ascolto per «imparare a conoscere meglio attraverso quali caratteristiche gli ebrei definiscono se stessi nella loro realtà religiosa vissuta», pongono da parte cattolica le condizioni di sviluppi benefici, e non dubitiamo che, da parte vostra, corrisponderete, secondo le vostre particolari prospettive, al nostro sforzo che non può avere senso e fecondità altro che nella reciprocità.
Nella prospettiva di simpatia e di amicizia che abbiamo evocata davanti al sacro Collegio il 23 dicembre u.s., formuliamo per voi qui presenti, per le vostre famiglie, ma molto più largamente ancora per tutto il popolo ebraico, i nostri migliori auguri di felicità e di pace.