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Sfida, Opportunità e Necessità del Dialogo Interreligioso Oggi

 

17/12/2004: Rabbino Jack Bemporad

 

Sono molto grato al Professor Sievers per il Suo cortese e gentile invito a parlare a voi questa sera. Lui, è uno dei più eruditi cattolici ed i suoi contributi sono stati e continueranno ad essere molto apprezzati da tutti gli studiosi del mondo. Il professor Sievers nel dialogo tra cattolici ed ebrei oltre a dare il Suo contributo intellettuale, mostra la Sua profonda fede e il Suo genuino impegno nel portare avanti il compito di riconciliazione tra le nostre due religioni.

Cardinal Bea, è stato uno dei più grandi leaders cattolici dell’ultimo secolo. Il Suo inesauribile impegno nel rimediare a qualunque rancore possa essere esistito tra le nostre due comunità religiose, è stato uno dei compiti più difficili, erculeo, del nostro tempo. Fortunatamente è stata scritta una eccellente biografia che gli fa grande onore e che migliorerebbe tutti dopo averla letta.

Per molti anni mi sono interessato ai rapporti tra cristiani ed ebrei, prima come professore, insegnando corsi su questa tematica in varie università e più tardi coinvolto molto profondamente come rappresentante dell’IJCIC, a capo del comitato per gli Affari Inter-religiosi del Consiglio della Sinagoga d’America. Sono quindi arrivato alla conclusione che ci si debba porre due domande fondamentali alle quali si debbano trovare appropriate risposte, se vogliamo che il nostro dialogo inter-religioso possa dare il raccolto di quanto seminato da grandi leaders, come Cardinal Bea.

La prima domanda a cui bisogna rispondere è: Come posso essere fedele alla mia fede pur rispettando la vostra?

La seconda domanda è divisa in due parti: che posto occupano gli ebrei e la religione ebraica nel contesto dell’autocoscienza cristiana; e che posto occupano i cristiani e il cristianesimo nel contesto dell’autocoscienza ebraica.

La prima domanda è necessaria perchè molto spesso la rappresentazione delle rispettive fedi è stata distorta. Sfortunatamente, tutt’oggi in alcune parti di entrambe le religioni, la tentazione è stata di paragonare le due in maniera ineguale e arrogante. Molte volte, mi sono trovato presente quando uno dei due gruppi religiosi, paragonava il meglio della sua fede con gli aspetti peggiori dell’altra. Senz’altro, può verificarsi il contrario, anch’esso ingiusto; cioè di essere reticenti all’insegnamento della nostra religione, a causa di una ipersensibilità, per cercare di non essere offensivo.

L’esempio più grave di mancanza di rispetto verso la fede dell’altro è la convinzione da parte del cristiano e la percezione da parte dell’ebreo che i cristiani vedevano la religione ebraica come una religione limitata e incompiuta, una religione superata il quale posto è stato preso dal cristianesimo. E’ stata questa la paura che ha portato gli ebrei a dire che ci sono presupposti riguardo a ciò che può o meno essere discusso; cioè la teologia. Per quanto è comprensibile da parte degli ebrei che la teologia non può essere discussa, questa condizione diventa un fardello pesante per la parte cristiana.

Ora, quale è il nostro compito? Non soltanto di riconoscere la religione ebraica come una religione vivente, ma anche di sviluppare una teologia di una religione ebraica vivente, che possa prendere il posto della teologia della religione ebraica morta, che in un modo o nell’altro ha dominato la teologia cristiana attraverso i secoli.

Un presupposto per una tale teologia è prendere a cuore l’ingiunzione fatta dal Papa nel Suo primo incontro con i principali rappresentanti della religione ebraica, dove si dice che una religione deve essere rappresentate in termini tali, che chi ne faccia parte possa riconoscere quei termini come rappresentazione giusta ed accurata.

C’è anche il problema di sviluppare un linguaggio del dialogo che è un linguaggio in cui noi usiamo le stesse parole senza attribuire significati diversi. Usiamo termini come: sofferenza, salvezza, rivelazione, redenzione, Messia. C’è una lunga lista di termini usati, ma fintanto che non ci parliamo e non ci ascoltiamo, non ci sarà modo di poterci capire, perché questi termini hanno diverse connotazioni. Solo un dialogo teologico potrà aiutarci a capire la lingua religiosa dell’altro.

Tutte le tradizioni religiose mantengono credenze che ritengono vere e hanno ragioni per supportare queste credenze come vere. Quando una tradizione religiosa si interroga su ciò che crede e perché crede ciò, si tratta di teologia, perché la teologia tratta il significato e la verità delle asserzioni che una tradizione religiosa mantiene. Pertanto, quando spesso gli ebrei affermano che la religione ebraica non è teologia o non dovrebbe discutere sulla teologia, è come affermare che questa non fa asserzioni dottrinali o che se le fa non ha un motivo di carattere razionale per fare tali asserzioni. Entrambe le affermazioni a me sembrano sbagliate.

Praticamente, per la religione ebraica, instaurare un dialogo teologico con la chiesa è fondamentale, per evitare incomprensioni sulle reciproche credenze e dottrine, così come esporre percezioni sbagliate. E’ soltanto attraverso il dialogo che noi possiamo imparare qualcosa sugli altri e non da qualche affermazione astratta, anche se scritta nei migliori dei modi, ma nel reciproco dare e ricevere tra esseri umani; persone di carne ed ossa, che hanno lo stesso interesse a rispettare la volontà di Dio, ed è qui che sono molto importanti i vari scritti e discorsi di Padre Remi Hoeckmann. Egli ha ripetutamente espresso il fatto che il dialogo, prima di tutto è un dialogo tra individui concreti, individui credenti che cercano insieme la via della riconciliazione e della comprensione. Il Cardinale Cassidy, a Gerusalemme ha fatto una dichiarazione molto simile che vorrei citare: “Permettetemi di chiarire che c’è una reale ed importante distinzione tra il dialogo teologico e la missione cristiana. Quando parlo di dialogo teologico con i rappresentanti della religione ebraica, non sto parlando di unità di credenza, ma di un dialogo che aiuti le parti a capirsi ed ad accettarsi reciprocamente così che tutti possano essere ciò che Dio vuole nelle loro società odierne a dispetto delle differenze di base. Alle volte sono veramente stupito di leggere insegnamenti e dottrine cattoliche delucidate in riviste ebraiche, in maniera tale che nessun cattolico le riconoscerebbe come proprie. E’ probabile che gli ebrei abbiano una simile reazione riguardo a delucidazioni da parte dei cattolici sulla fede ebraica.”

Ora, io credo che sia molto importante precisare che le condizioni per un dialogo teologico, posto da parte del Rabbino Soloveitchik, debbano essere viste sotto una luce diversa da quella percepita da molti nelle comunità ebraiche. Questa posizione è stata esposta dal Rabbino Soloveitchik nel Suo saggio del 1964, avente come titolo ”Confronto”, che a proposito, fu pubblicato prima della trasformazione epocale dell’atteggiamento della Chiesa verso gli ebrei contenuto in Nostra Aetate. Il Rabbino Soloveitchik dice: “La società non ebraica ci ha trattato attraverso gli anni in modo provocatorio, come se noi facessimo parte di un ordine obbiettivamente subumano. Egli continua: “Ci risentiremo di qualsiasi sforzo da parte delle comunità di molti, di impiegarci in particolari dibattiti dove ci facciano sentire inferiori, mentre chi ci confronta si metta non al nostro fianco, ma al disopra di noi” Questo è stato il pensiero di Soloveitchik, scaturito dalla storia delle relazione cattoliche ebraiche di migliaia di anni. Comunque ha anche affermato nello stesso saggio, anche se sfortunatamente questo brano non è stato quasi mai riportato, in verità è stato trascurato, che: “E’ evidente che un confronto delle due comunità di credenti può essere possibile soltanto se accompagnato dalla promessa che tutte e due le parti abbiano gli stessi diritti e piena libertà religiosa.” Stessi diritti e libertà religiosa non vuol dire mettersi davanti o al disopra l’altro.” Mi sembra che questi requisiti dopo il Concilio Vaticano II e la promulgazione di Nostra Aetate, le Guide, gli Appunti e numerose altre affermazione Vaticane, per non parlare delle dichiarazioni di Giovanni Paolo II, siano stati rispettati per decenni, come le condizioni che il Rabbino Soloveitchik ha posto per un dialogo produttivo. Pertanto, faccio appello alla comunità ebraica di accettare il modo di vedere del Rabbino Soloveitchik nel suo pieno contesto.

Non c’è alcun dubbio che il dialogo negli ultimo 38 anni è stato tra due comunità religiose che godono degli stessi diritti e libertà religiose. Noi dobbiamo discutere la teologia, poiché non possiamo veramente capire il significato di cristianità senza capire la sua teologia; questo è il modo di pensare dei cristiani e come loro vedono il mondo e la loro fede, e un ebreo che non è disposto a cercare di capire ciò che questo significa non potrà capire il cristianesimo fino in fondo. Ma ancora più importante, se noi non cerchiamo di discutere la teologia, come potremo prevenire il non capire le credenze e le dottrine di ognuno di noi. Innanzitutto è il processo del dialogo l’elemento principale e non semplicemente il contenuto, poiché è il processo del dialogo che determina il suo contenuto. Il processo del dialogo consiste nello stabilire l’appropriata atmosfera del dialogo. E’ l’atteggiamento dei partecipanti, il modo di dialogare con gli altri, che prepara lo scenario adatto alla discussione. Qualunque siano gli argomenti da trattare, con problematiche molto importanti, se la gente non è veramente interessata al dialogo, o se vi è mancanza di fiducia, il rispetto reciproco, non potrà esserci un genuino dialogo. Padre Hoekman, io credo, ha in modo convincente mostrato che se questo processo viene diffuso, con un vero senso di fiducia e cura, allora il contenuto potrà essere sviluppato e ampliato; solo allora si potranno trattare svariati argomenti inclusi argomenti teologici, che prima uno non avrebbe nemmeno pensato di poter discutere e che invece ora sono diventati oggetto di discussione. Allo stesso modo, dobbiamo riconoscere che ognuno di noi ha certe fondamentali convinzioni e che lo scopo spesso è trovare un punto di incontro. E’ altrettanto importante provare a capire dov’è che non ci troviamo d’accordo e perché. Molto spesso per noi conta solo arrivare ad un accordo. Io non credo che questo sia il problema. Il problema, non è se noi siamo d’accordo o no, poiché se noi ci accordiamo non c’è niente da dover parlare. Invece, noi dobbiamo provare a capirci senza necessariamente accordarci. L’unica maniera per poterci capire è se siamo disposti a dire: “Sono un ebreo, questo è ciò che credo, questa è la ragione per cui lo credo, e questo è il modo in cui lo vivo.” Ed io mi aspetto che tu dica a me la stessa cosa: “Questo è ciò che tu credi, come cristiano, questo è il perché lo credi, e questo è il modo in cui lo vivi.” E a meno che noi non siamo disposti ad essere rispettosi ed aver cura del nostro prossimo, e rispettare ciò che veramente l’altro vuol essere, allora io credo che non siamo ancora pronti a intraprendere il dialogo di cui abbiamo bisogno. Ci sarà sempre una certa tensione tra queste fondamentali asserzioni e l’apertura necessaria per dialogare con gli altri e questo è il perché è così importante l’atmosfera del dialogo.

Il grande Saggio Hillel, ci dice di non giudicare il nostro simile fino a quando non ci troviamo al suo posto. Io credo, che ciò che lui avesse voluto dire, è che non basta mettersi nei panni di un’altra persona, nelle stesse scarpe, o fare le stesse esperienze di quelle categorie di persone, attraverso le loro speranze, paure e sentimenti. Si deve fare di più, guardare noi stessi con gli occhi dell’altro. “Come ti vede, con quali occhi tu mi vedi?”

Ora debbo riconoscere, che in passato, i cristiani vedevano gli ebrei attraverso i propri occhi, cioè con disprezzo, e gli ebrei rispondevano nella stessa maniera. Una delle più importanti divergenze, è che gli ebrei erano perseguitati dalla maggioranza dei cristiani o dai musulmani, in quanto ritenuti una minoranza e dovevano ricoprire i posti assegnatigli da queste società religiose. Gli ebrei non avevano nessuna opportunità di definirsi tali o essere visti come loro si vedevano.

Come Herman Cohen ha correttamente precisato: “Né l’Illuminismo, né la moderna legislatura, ha avuto successo nel rimuovere dagli ebrei il pesante fardello, imposto dal pregiudizio che loro non rappresentano nient’altro se non una razza straniera. Questo pregiudizio può e sparirà, solo quando il valore intrinseco della loro religione sarà pienamente riconosciuto.” Negli ultimi 38 anni sono avvenuti drastici cambiamenti, grazie ai considerevoli sforzi da parte dei cristiani, nel cercare di vedere gli ebrei come loro vedono loro stessi. Riguardo l’antisemitismo e alla parte che l’insegnamento cristiano può aver contribuito a ciò, è stato ampiamente discusso e cambiamenti epocali sono iniziati con Nostra Aetate, le Guide, Appunti, la visita di Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma, l’Accordo tra il Vaticano e Israele, il documento della Rimembranza, la visita del Papa a Gerusalemme e più recente il documento della Pontificia Commissione Biblica sugli ebrei e le loro sacre scritture nel Nuovo Testamento, tutto ciò ha dimostrato un grande impegno da parte della Chiesa cattolica, nel provare ad impostare in un’atmosfera completamente diversa il dialogo tra cristiani ed ebrei e le loro relazioni a tutti i livelli.

Il punto che Cohen ha cercato di chiarire, è che qualsiasi diritto civile che gli ebrei abbiano ottenuto, gli ha sempre osteggiato i diritti religiosi. I diritti civili, storicamente, hanno avuto una storia precaria, fintanto che insegnamenti spregevoli venivano ripetuti e che la loro religione veniva sempre vista come una religione morta e superata, una religione spregevole.

Recentemente ho visto un brano nel diario di Gottlob Frege del 1924; nel suo diario parla dei diritti civili e religiosi. Lui afferma: Si può constatare che ci sono ebrei della più alta rispettabilità, e tuttavia considerare una disgrazia che ci siano così tanti ebrei in Germania, e che loro abbiano gli stessi diritti politici che hanno i cittadini di discendenza Ariana; ma quanto poco può essere ottenuto dal desiderio che gli ebrei in Germania perdessero i loro diritti politici o meglio sparissero dalla Germania. Se si voleva approvare delle leggi per rimediare a queste ingiustizie, la prima domanda a cui rispondere sarebbe: Come si può essere sicuri di distinguere un ebreo da un non ebreo? Ciò potrebbe essere stato relativamente facile 60 anni fa. Ora, a me sembra essere alquanto difficile. Forse uno dovrebbe sentirsi soddisfatto di combattere i modi di pensare che si evidenziano nelle attività degli ebrei e che sono così nocivi, e di punire esattamente queste attività con la perdita dei diritti civili e di rendere più difficile l’acquisizione dei diritti civili. ( 30 apr. 1924; trad. Richard L. Mendelsohn, ed. Commentato da Gottfried Gabriel e Wolfgang Kienzler, Nell’Inquiry, 39 (1966))

La grandezza del cambiamento della chiesa, è che hanno permesso agli ebrei, diritti religiosi, e la sfida è di portare a pieno compimento ciò. Questo accadrà quando la chiesa stilerà un documento di natura teologica che risponderà chiaramente a questa domanda: Quale è il posto che gli ebrei e la religione ebraica devono ricoprire secondo l’insegnamento cristiano?

Comunque, per me è fonte di dispiacere, che in tutti gli anni d'apertura alla comunità ebraica da parte dei cattolici, con tutti i documenti e specialmente le iniziative di Giovanni Paolo II, la parte autorevole della comunità ebraica IJCIC, non sembri adattare la propria posizione riguardo i cristiani e il cristianesimo con la religione ebraica ed i propri interessi.

A mio parere è tragico che così tante persone nella comunità ebraica hanno insistito ed i media hanno strumentalizzato aree piene di tensione come i malintesi inerenti alla visita di Waldheim al Papa, la canonizzazione di Edith Stein e ancora più grave, la beatificazione di Pio Nono mentre non hanno riconosciuto o apprezzato pienamente i cambiamenti rivoluzionari e ripeto rivoluzionari in meglio che sono avvenuti nel Secondo Concilio Vaticano e che vanno avanti da allora.

Permettetemi di esporvi non delle scuse, ma delle spiegazioni.

L’olocausto è stata una esperienza devastante per il popolo ebraico. Quasi il 40% degli ebrei è stato ucciso. Più di quelli che vivono negli Stati Uniti, più di tutti quelli che vivono nella terra di Israele. Non solo c’è stato il più alto numero di morti, ma anche la distruzione dei più importanti centri d’insegnamento della religione ebraica. Immaginate in termini cattolici, se dei due miliardi di cattolici, 400 milione fossero uccisi in un periodi di pochi anni. Il Vaticano distrutto e le sue grandi università, come questa, devastate. Pensate cosa questo significherebbe per voi.

Sfortunatamente, è vero che in pratica la maggior parte, se non tutti i documenti riguardanti gli ebrei e la loro religione di carattere revisionista, sono comparsi solo dopo la Shoah e quindi gli ebrei si chiedono: C’è voluta la distruzione della comunità ebraica in Europa, per far si che la cristianità si svegliasse e scoprisse che ora siamo fratelli, che ora la nostra alleanza è irrevocabile? E’ da duemila anni che ciò e scritto nella lettera di S. Paolo ai Romani. Perché ciò è stato scoperto solo dopo la distruzione degli ebrei? In realtà, non ho dubbi che senza l’olocausto e senza la distruzione di più di un terzo del popolo ebraico nessuno saprebbe cosa sarebbe accaduto. Ma anche ora, devo dire a voi che la maggior parte dei cristiani non sa quali rischi si incorre nell’essere ebreo. Noi sentiamo, che l’identità degli ebrei è precaria e che ogni generazione non sa se sarà l’ultima. Guardate, l’esperienza di essere sopravvissuti, è dal punto di vista ebraico, un fatto di estrema importanza teologica e non credo che non lo si riconosca. Vedete la precarietà? Ciò ha molto a che fare con il dialogo, fatemi spiegare il perché. Il popolo ebraico è cresciuto nell’avversità. La nostra alleanza con Dio, per quanto eterna, è stata bombardata nel tempio. Il nostro rapporto con Dio e con l’oppressione, sono uniti nel più profondo del nostro essere, vecchi e formativi come lo stesso esodo. Il pensiero ebraico, le strutture religiose ebraiche e l’autocoscienza ebraica, tutte le forme, tutti i corpi che sono serviti da tramite alla nostra autoconservazione spirituale si sono evoluti in parte, per controllare, aggirare o contrastare un ambiente ostile. Sotto tale pressione, la religione ebraica è diventata ciò che è dovuta diventare per poter sopravvivere. Pertanto la sfida al dialogo, la sfida alla riconciliazione, la sfida all’amore è terrificante. Perché sembra minacciare ogni cosa che ha aiutato gli ebrei a rimanere ebrei. Vedete il mio punto? La riconciliazione ci sfida a demolire le difese emotive e politiche che ci hanno sostenuto, protetto e per gran parte sono diventate noi. Questa è la tragedia. In un certo qual modo è una tragedia che sia accaduto al popolo ebraico.

La riconciliazione ci sfida a dare nuovo respiro ad una vecchia e polverosa abitudine nata dall’oppressione, e di aprire quel ghetto che ancora esiste nelle nostre menti e nei nostri cuori. La riconciliazione ed il dialogo, ci sfidano ad usare quella forza che noi abbiamo usato come autodifesa, per riportarci verso quel reciproco scambio di affetto, amore e cura e ancor più importante, fiducia.

Stabilire la fiducia è difficile e recentemente dichiarazioni che la chiesa deve fare attività missionaria non mettono gli ebrei a loro agio. Io personalmente credo che la Chiesa cattolica non abbia alcuna intenzione di fare attività missionaria nei confronti degli ebrei. Sia il Cardinale Ratzinger che il Cardinale Kasp sono stati molto chiari su questo punto, ma a coloro che ancora vogliono impegnarsi a convertire gli ebrei, io posso solo chiedere: sarebbe così terribile se il popolo ebraico, un popolo antico, continuasse ad esistere? Perché non lasciare gli ebrei continuare a studiare i loro testi sacri e nutrirsi di essi, continuare a rinnovare ed approfondire la loro conoscenza della propria tradizione, come se fosse una ampliata autobiografia del popolo ebraico. Come ha detto Goethe: “Colui che non può spiegarsi tremila anni di storia, possa rimanere al buio, senza esperienza, possa lui vivere alla giornata. Noi abbiamo la nostra biografia che conta oltre tremila anni. Che benefici potrebbe portare a qualcuno se questa eroica, tragica, e sublime biografia che ha nutrito così tanti, finisse? Non è possibile che la religione ebraica continui ad essere una voce significativa nell’orchestra dell’umanità? Certamente se i documenti dal tempo del Concilio Vaticano Secondo ad oggi significano veramente ciò che affermano, allora è certamente ciò che la Chiesa vuole.

Io credo che nel dialogo ci dovremmo chiedere: “Come possono le nostre tradizioni trattare queste domande basilari che incontriamo come esseri umani; sofferenza, salvezza, descrizione di cosa significa l’essere umano, la natura di Dio e della creazione, la natura del bene?” Nel provare, con la nostra fede a rispondere a queste domande, scopriremo che noi possiamo imparare gli uni dagli altri, cosa crediamo e il perché lo crediamo. A questo punto credo, che la cosa più importante per noi, sia riconoscere di poter imparare dagli altri, che nessuno ha un monopolio sulla verità.

Ci sono questioni che devono essere trattate rispettandoci l’un l’altro. Ma ci sono anche importanti domande che devono essere affrontate insieme, lavorandoci insieme.

Per prima cosa c’è la questione del rapporto tra l’indagine teologica e lo studio critico della bibbia. Dobbiamo affrontare insieme la sfida che le conoscenze critiche, storiche e linguistiche delle nostre scritture rappresentano per le affermazioni delle nostre comunità di fede. Questo è particolarmente urgente, poiché così tanti dei nostri giovani studiano in università dove questi studi li sfidano a capire le scritture.

Seconda cosa c’è la questione del rapporto tra etica e religione.

Non dobbiamo noi rivedere nelle nostre rispettive tradizioni quelle affermazioni che non raggiungono i livelli più alti che la nostra stessa tradizione ha abbracciato?

Terza, c’è la questione di come noi insieme possiamo affrontare i problemi dove la voce della religione deve farsi sentire. La difesa dei basilari diritti umani, questione come pace e guerra, ingegneria genetica, il significato del matrimonio e la protezione della famiglia. L’abuso delle donne, specialmente quelle condannate alla prostituzione. L’impegno al dialogo con il governo quando noi crediamo che il governo sta andando oltre il ruolo ad esso assegnato e lavorando il modo che richiede la sfida da parte nostra.

Infine, è essenziale ricordarsi della natura dell’argomento discusso. Quando vengono discusse questioni religiose, quando le più profonde convinzioni per le quali gli individui determinano le loro vere essenze e discutono le credenze per le quali la loro esistenza è a rischio, c’è bisogno di una certa sensibilità e comprensione semplicemente non richiesta in altri argomenti di discussione.

Non nego che altri argomenti necessitano di sensibilità e comprensione; Io sto affermando che l’intensità emotiva e il significato del dialogo inter-religioso hanno uno spazio tutto loro, e hanno bisogno di essere trattati in modo speciale. C’è anche un senso di grandiosità e nobiltà della ricerca religiosa che deve essere presa in considerazione. Noi stiamo trattando con il Sacro, la manifestazione più alta e trascendentale di tutto ciò che esiste, e la mente umana deve presentarsi con una profonda umiltà in discussioni inerenti al Divino.

Finalmente, tutte e due le tradizioni riconoscono che ciò che è a rischio nel dialogo è la cura che gli esseri umani hanno riguardo alla creazione. Tutte e due le tradizioni devono riconoscere che ciò che facciamo, lo facciamo davvero o per il bene o per il male e che una realtà della più assoluta importanza e al centro della nostra comune testimonianza, anche se in modi diversi di fronte a Dio, che ci rende capaci di condividere la Sua Grazia e compiere il Suo Volere.

Spero e prego che un dialogo teologico, autentico e significativo che tiene in mente la nostra alleanza con Dio, risulti in un’alleanza tra la religione ebraica e la chiesa.

 

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