Day of Judaism (Italy) - January 172007 - «Non avrai altre divinità al Mio cospetto» (Es 20, 3) - Sussidio
VINCENZO PAGLIA GIUSEPPE LARAS
PRESENTAZIONE La Giornata che annualmente la Conferenza Episcopale Italiana dedica all’ebraismo, ormai da quasi due decenni, trova il suo riferimento all’interno di «una nuova visione della relazione fra Chiesa ed Israele», tesa a «superare ogni tipo di antigiudaismo ed iniziare un dialogo costruttivo di conoscenza reciproca e di riconciliazione. Tale dialogo, per essere fruttuoso, deve cominciare con una preghiera al nostro Dio perché doni a noi cristiani una maggiore stima ed amore verso questo popolo, gli israeliti, che “possiedono l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen” (Romani 9, 4-5), e ciò non solo nel passato, ma anche presentemente “perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili” (Romani 11, 29). La data prescelta per questa Giornata, il 17 gennaio, precede immediatamente la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, sottolineando così da un lato la diversa connotazione che distingue il dialogo ebraico-cristiano da ogni altro dialogo interreligioso, dall’altro un’intrinseca dimensione ecumenica che caratterizza i fraterni legami ebraico-cristiani. Nel medesimo tempo, la prossimità con l’anniversario della liberazione dei campi di sterminio, il 27 gennaio, rimanda ad un’altra memoria particolarmente rilevante, ricordandoci che «A nessuno è lecito, davanti alla tragedia della Shoà, passare oltre. Quel tentativo di distruggere in modo programmato tutto un popolo si stende come un’ombra sull’Europa e sul mondo intero; è un crimine che macchia per sempre la storia dell’umanità. Valga questo, almeno oggi e per il futuro, come un monito: non si deve cedere di fronte alle ideologie che giustificano la possibilità di calpestare la dignità umana sulla base della diversità di razza, di colore della pelle, di lingua o di religione». Queste molteplici valenze della Giornata stanno alla base della scelta programmatica, secondo la quale si è iniziato un percorso decennale di riflessione spirituale che trova il suo centro nelle “Dieci Parole” del Sinai, rivelate dall’Eterno a Israele e dense di valori perenni anche per le Chiese e per l’intera umanità. Benché il termine “Dieci Comandamenti” rischi, per inevitabile usura semantica, di non trasmettere perfettamente la potente carica di senso che racchiude, se però torniamo all’espressione ebraica originaria, che è Davar – LOGOS in greco – subito si accendono mille risonanze dense d’antichi valori. Davar e Logos Davar è infatti, nel linguaggio biblico, termine ricchissimo e pregnante di tutto il mistero divino nella sua gloria eterna e nella sua relazione di salvezza per l’uomo di tutti i tempi. Pienezza di potenza (Ruah - dynamis) e insieme debolezza di manifestazione (shekhinà - epifania), concreta espressione nella carne (basar) e nella voce (qol) di un irrevocabile tenerissimo amore divino (ahavà e hesed). Dire dieci volte Davar significa, perciò, estendere al massimo di potenzialità umanamente esprimibile gli strumenti tecnico-scientifici che l’antropologia di sempre mette a disposizione dell’uomo: le dieci dita della mano, abaco primordiale d’ogni misura matematica, unità moltiplicatrice dell’infinito contato e ricontato affettuosamente nella povertà delle ossa umane da Lui così glorificate e fatte preghiera, eco dei cento Nomi divini. Gli antichi traduttori interpreti della Bibbia in aramaico, meditando su questa pienezza di sensi insiti in Davar, secondo il Targum gerosolimitano leggevano nell’inizio della Torà il ‘Principio’ e la ‘Sapienza’ generatori di tutti i significati: «Con Sapienza il Signore fece il cielo e la terra» (Genesi 1, 1). Giovanni nel Vangelo si fa eco di questa contemplazione quando afferma, ricalcando la Genesi, che «In principio era il Verbo» (Giovanni 1, 1), Davar o Parola infuocata di creazione e di redenzione. Nel medesimo tempo, interpretando Davar con la categoria greca di Logos, Giovanni propone una fusione e un incontro fra fede e ragione, fra razionalità e contemplazione. Con questa consapevolezza, memori dell’atteggiamento di Mosè che, scalzo e penitente, si pone in ascolto del Davar divino sul santo monte, ci accostiamo insieme, ebrei e cristiani, a questo mistero. Un mistero che ci sollecita alla condivisione di una fede e che ci fa solidali con tutti coloro che amano un Unico Dio. Dopo la prima “Parola” affermativa all’inizio dei Dieci Comandamenti, che proclama il Santo Nome rivelato nel roveto ardente ed accende la fiaccola della Sua fedeltà ad Israele nei secoli, nel testo sacro seguono altre nove “Parole”, di cui sette in forma negativa. Sono espressioni sintetiche, modellate secondo le antiche legislazioni dell’oriente, nelle quali è riflesso un patrimonio di valori perenni, proposto all’interno di un programma di fede etica, sostanziata d’impegno sociale, civile e politico esigente e rigoroso, di carattere universalmente valido tale da estendersi da Israele all’intera umanità. Quest’anno vogliamo riflettere assieme sulla “seconda” parola: «Non avrai altre divinità al Mio cospetto». Rav. Giuseppe Laras Testo completo in PDF (490 kb)
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