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Noè. l’uomo giusto
Giovanni Boggio
Italia (2002/01/17)
La figura di Noè rappresenta uno dei pilastri sui quali è costruito il racconto del libro della Genesi, che vede in lui il. secondo padre di tutta l'umanità, dopo Adamo. Il suo nome può essere interpretato o come «colui che è stato prolungato» si intende nella sua vita (cf i nomi del protagonista dei racconti mesopotamici), in riferimento al diluvio dal quale è scampato per l'intervento di Dio, oppure, secondo l'interpretazione di Gn 5,29 messa sulle labbra del padre Lamech: «Costui ci consolerà del nostro lavoro e della fatica delle nostre mani, a causa del suolo che il Signore ha maledetto», dove il riferimento è al tempo precedente il diluvio e riguarda l'aiuto che il padre si aspetta di ricevere dal figlio. È facile però riferire la «consolazione» alla benedizione che Dio gli ha dato all'inizio della nuova era del mondo susseguente al cataclisma che, secondo il racconto biblico, ha cancellato dalla terra ogni traccia di vita che può continuare soltanto grazie a Noè e ai suoi figli (cf Gn 9,1). Un'altra possibile interpretazione collega il nome ad una radice ebraica che significa «respirare» con richiamo evidente alla sopravvivenza di Noè e della sua famiglia.
Il racconto che il redattore della Genesi sta costruendo, pone il patriarca in un contesto evidente di universalismo, collocandolo all'ultimo posto nelle Genealogie che risalgono ad Adamo (Gn. 5,29) e quindi al primo in quelle che seguono il diluvio (Gn 10,1), facendo derivare da lui tutta l'umanità post diluviana.
Ma non solo dal punto di vista della generazione fisica Noè si trova al centro di una vicenda universale. Ancora più importante è la dimensione delle benedizioni di Dio che lo collegano direttamente al primo uomo. A Noè è ripetuta la benedizione data agli animali (Gn 1,22 e 8,17) e alla razza umana (Gn l,28ss e 9,1 ss). Quest'ultima benedizione contiene anche un elemento nuovo che ne estende la portata, cioè il permesso di cibarsi delle carni degli animali (Gn 9,3) insieme al divieto di alimentarsi con il sangue e di versarlo, in quanto considerato sede della vita (Gn 9,4).
Sulla stessa linea va posto il racconto dell'alleanza che Dio stringe con tutta la creazione attraverso Noè. L'impegno di assicurare il succedersi regolare dei diversi tempi che scandiscono la vita dell'umanità, con la garanzia di poter raccogliere i frutti delle stagioni, era già stato assunto da Dio che escludeva cosi il ripetersi di uno sconvolgimento generale delle leggi che lui stesso aveva dato alla natura (Gn 8,21-22).
In Gn 9,9-11 si introduce il termine «alleanza» «berit» che qui indica un impegno solenne da parte di Dio senza che sia richiesto all'uomo alcun corrispettivo. Questo particolare garantisce la realizzazione di quanto promesso, in quanto dipende unicamente dal partner divino e non dalla volontà o dall'osservanza di qualche clausola da parte dell'uomo, cosa che avrebbe introdotto un elemento di debolezza nel patto stesso. Noè riceve da Dio una parola solenne che riguarda tutto il creato e gli assicura la sopravvivenza.
L'arcobaleno, per il suo verificarsi in ogni parte del mondo, è interpretato come segno universale di questo giuramento pronunciato da Dio e garanzia del mantenimento della promessa che non è rivolta soltanto a Noè ma all'umanità intera (Gn 9,12-16). La forma assunta dal fenomeno naturale (quasi un ponte che congiunge la terra al cielo), e il momento in cui si manifesta (la quiete della natura dopo la violenza di un temporale) hanno suggerito l'interpretazione poetica e religiosa che ha riscontri in quasi tutte le culture. L'altra immagine rievocata, quella dell'arco riposto dopo un combattimento (il nubifragio con i fulmini e le saette scoccate dalla divinità), ha portato a pensare all'annuncio di un periodo di pace, anticipato dal segno comparso nel cielo.
Il privilegio di cui gode Noè è attribuito al fatto che «era uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei e camminava con Dio» (Gn 6,9). Questa sua caratteristica giustifica quanto detto nel versetto precedente, e cioè che «trovò grazia agli occhi del Signore» (Gn 6,8). La benevolenza di Dio si manifesta verso quello che viene presentato come l'unico «giusto» in mezzo ad una umanità depravata. Non si tratta dunque di un atteggiamento di favoritismo immotivato, ma del riconoscimento di un complesso di qualità, sintetizzate nel termine tzaddiq che nel linguaggio biblico indica l'uomo che corrisponde in tutto ai progetti di Dio nei suoi riguardi.
Non è fuori luogo sottolineare che nel racconto del Pentateuco le «dieci parole» non sono state ancora consegnate a Mosè. Quella «Torah» che costituirà il vanto di Israele (cf Dt 4,6-8; Bar 4,1-4) non può ancora separare un popolo privilegiato dal resto dell'umanità. Noè appartiene ad una massa degenerata destinata all'annientamento totale, ma nonostante ciò non è intaccato dalla corruzione generale e continua a «camminare con Dio» (Gn 6,9), espressione usata anche per descrivere la vita di Enoch (Gn 5,22.24), l'altro patriarca premiato per la sua fedeltà a Dio.
L'atteggiamento religioso di Noè è messo in evidenza anche dopo il diluvio. Il primo atto che compie dopo aver rimesso in libertà gli animali che popolavano l'arca è l'offerta di un sacrificio in ringraziamento. Il racconto sembra insinuare che Noè era tanto fedele a Dio da anticipare le prescrizioni riguardanti gli animali che si potevano offrire in sacrificio: solo quelli che in seguito la legislazione contenuta nel Levitico avrebbe indicato come «mondi» (cf Lv 11).
Questa preoccupazione era già stata attribuita a Dio stesso quando si trattava di introdurre nell'arca le coppie di animali. Era stata fatta distinzione tra quelli puri, di cui dovevano essere salvate sette coppie, e gli altri per cui era sufficiente mettere in salvo una sola coppia (Gn 7,2-3). Il motivo di questa variante risulta chiaro nel momento del sacrificio, che avrebbe rischiato di essere il primo e l'ultimo della storia umana, se fossero stati uccisi gli unici superstiti degli animali destinati all'offerta sacrificale.
La promessa che Dio fa di non alterare il corso delle stagioni umane (8,22) sembra voler riconoscere la correttezza e la bontà di un atto di culto condiviso e praticato da tutti i popoli, anche se con modalità differenti (a volte anche in modo radicale, vedi ad esempio l'uso dei sacrifici umani) da quelle praticate dal popolo ebraico. L'ottimismo derivante da questa promessa è però velato dalla motivazione che ha spinto Dio a farla: la malvagità radicale dell'uomo (Gn 8,21). È uno spiraglio drammatico che apre la strada alle narrazioni successive nelle quali emergono il particolarismo e l'odio che nemmeno il diluvio è riuscito a cancellare dall'animo della nuova umanità.
Nel seguito della storia, Noè viene presentato come agricoltore e scopritore delle possibilità e qualità della vite e del suo derivato: il vino (Gn 9,20-24). È visto anche come la prima vittima delle conseguenze sgradevoli dovute all'uso di bevande alcoliche, qui rappresentate da quella che nei paesi mediterranei è la più diffusa e gradita, benché non sia universale nel vero senso del termine.
Il racconto, che si sofferma sul comportamento dei figli nei confronti del padre, denota un'accentuata caratteristica eziologica soprattutto per il riferimento sorprendente a Canaan (Gn. 9,25) maledetto al posto del padre Cam, il diretto responsabile dell'irriverenza verso Noè. Sembra evidente la preoccupazione dell'autore del racconto di spiegare (e giustificare) la situazione storica determinatasi nel territorio abitato dai Cananei dopo la conquista operata da Israele, collegato esplicitamente alla discendenza di Sem attraverso il patriarca Abramo (Gn 11.10-30). La condizione di sudditanza politica delle popolazioni locali ai conquistatori non solo Ebrei ma anche Filistei questi ultimi collegati a Iafet (Gn 10,1-5). viene spiegata come conseguenza di una maledizione che non ha colpito tutti i discendenti di Cam, ma solo le tribù il cui territorio si affacciava sul Mediterraneo (Gn 10,15-19).
Con questa eziologia, dall'universalismo che contraddistingue il racconto sulla vita di Noè si restringe l'orizzonte al particolarismo di una piccola regione, con le sue lotte fra tribù locali che cercano faticosamente di trovare una ragione per la propria sopravvivenza. E la motivazione viene indicata in un peccato che ha violato il precetto del rispetto verso l'autorità patema.
La figura di Noè mantiene invece la sua caratteristica di universalità nelle presentazioni che ne vengono fatte negli altri libri della Bibbia.
Ezechiele presenta Noè come il prototipo dell'uomo giusto (Ez 14,14-20) e vede nell'arcobaleno una componente della manifestazione della «gloria» con cui Dio si rende presente nel mondo (Ez 1,28). Il Siracide è ammirato per il suo splendore e bellezza che rivelano la potenza di Dio (Sir 43,11-12) e, parlando dei giusti del passato, ricorda Noè come colui che ha assicurato il futuro dell'intera umanità (Sir 44,17-I8). Lo stesso concetto è espresso nel libro della Sapienza che chiama Noè «la speranza del mondo» perché ha lasciato «la semenza di nuove generazioni» (Sap 14,16).
Per l'autore della seconda Lettera di Pietro, Noè non è soltanto personalmente giusto ma anche «banditore di giustizia» (2 Pt 2.5), idea che troviamo anche nella tradizione rabbinica ricordata nella riflessione del Rav Laras. La giustizia di Noè ha il suo fondamento nella fede che lo ha portato a fidarsi ciecamente nella parola che Dio gli aveva comunicato, senza richiedere prove o dimostrazioni della verità. Cosi afferma l’autore della Lettera agli Ebrei nel suo excursus sulla fede dei grandi uomini della storia (Eb 11,7). Infine nell'Apocalisse si riprende l'immagine dell'arcobaleno per descrivere lo splendore della gloria nella Gerusalemme celeste (Ap 10,1) e soprattutto quello del trono su cui siede il dominatore della storia (Ap 4,3).
Anche gli apocrifi hanno esaltato Noè per le caratteristiche messe in evidenza nei testi biblici, spesso ampliando con leggende le notizie scarne del testo sacro.. L’iconografia cristiana ha rappresentato volentieri la scena del diluvio mettendo in luce la figura del protagonista, spesso rappresentato da solo in atteggiamento di preghiera.
Il Corano gli intitola la sura 71 che presenta Noè con la caratteristica di predicatore, appena accennata nella seconda Lettera di Pietro e qui invece molto sviluppata, con una polemica anti-idolatrica già presente nella sura 7, 59-64. In altri passi si ritorna sulla rivelazione che Dio gli ha consegnato e sulla fedeltà di Noe nel mettere in pratica i suoi comandi.
La figura di questo patriarca ha offerto e continua ad offrire spunti molto interessanti per una riflessione sui rapporti tra Dio e l'umanità, indipendentemente da rivelazioni particolari vantate dall'una o dall'altra fede. Collocato nel racconto biblico in una fase iniziale della storia umana, Noè sintetizza in sé un messaggio universale proprio perché precede le divisioni dolorose che si sono create nel corso dei millenni. Il messaggio di unità del genere umano, derivante dalla comune origine da una sola famiglia, mantiene intatto il suo valore, anche se questo è velato dalla vicenda infelice che ha avuto per protagonista Cam.
Purtroppo questo particolare realistico, dovuto al comportamento dei figli, ha assunto nei rapporti tra i popoli una dimensione tale da far passare in secondo piano i valori universali legati alla figura del padre.