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Cinquantenario della liberazione di Auschwitz. Dichiarazione dei vescovi polacchi

Chiesa Cattolica. Polonia. Conferenza Episcopale
Polónia (1995/01/00)

 

In mezzo secolo trascorso dalla liberazione del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, il 27 gennaio 1945, riconduce ancora una volta la nostra attenzione alla dolorosa realtà e al significato simbolico di questo campo di concentramento, nel quale hanno subito una morte atroce migliaia di ebrei, polacchi, russi, rom e cittadini di altre nazioni.
Già alcuni mesi dopo lo scoppio della guerra, nella prima metà del 1940, i nazisti tedeschi hanno creato il campo di concentramento di Auschwitz sul territorio polacco da essi conquistato e annesso al Reich. Nei primi tempi, dopo la creazione del campo di concentramento, i prigionieri e le vittime del campo sono stati migliaia di polacchi, soprattutto intellettuali, aderenti ai movimenti di resistenza, ma anche ministri del culto e rappresentanti di quasi tutte le condizioni sociali. Non vi è praticamente alcuna famiglia polacca che non abbia perduto almeno un congiunto ad Auschwitz o in un altro campo di concentramento. Con profondo rispetto ci inchiniamo davanti all'incommensurabilità della sofferenza, sopportata spesso con profondo sentimento cristiano. Un eloquente esempio al riguardo è offerto dall'eroico comportamento e dal sacrificio della vita, nell'agosto del 1941, di padre Massimiliano Kolbe, che è stato beatificato da Paolo VI e dichiarato santo da Giovanni Paolo II. La sua vittoria, motivata dallo spirito del Vangelo di Cristo, è una chiara dimostrazione della forza dell'amore e del bene in un mondo di violenza e prepotenza.
Praticamente fin dall'inizio sono stati internati nel campo anche gli ebrei polacchi, considerati una componente di quella società polacca che doveva essere distrutta. A partire dal 1942 - in conseguenza della Conferenza di Wannsee - il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau e anche altri campi di concentramento in territorio polacco occupato sono diventati campi di sterminio e luoghi in cui realizzare la criminale ideologia della «soluzione finale« della questione ebraica, cioè del piano di sterminio di tutti gli ebrei presenti in Europa. Ai campi di sterminio, e quindi a sicura morte, i nazisti hanno portato gli ebrei da tutti i paesi dell'Europa occupata da Hitler. I luoghi di sterminio degli ebrei e dunque non solo Auschwitz, ma anche Majdanek, Treblinka, Belzec e altri - sono stati posti dalle forze di occupazione tedesche nei territori occupati della Polonia, perché proprio lì viveva la maggior parte degli ebrei europei e perché i crimini nazisti potevano essere più facilmente tenuti nascosti all'opinione pubblica mondiale in una nazione interamen¬te occupata e in parte addirittura annessa al terzo Reich. Secondo le odierne stime solo ad Auschwitz-Birkenau sono stati uccisi più di un milione di ebrei. Per questo motivo - anche se in quel campo di concentramento sono morti pure cittadini di altre nazioni - gli ebrei considerano questo campo come un simbolo della totale distruzione del loro popolo.

Lo sterminio, che va sotto il nome di Shoah, ha dolorosamente gravato non solo sulle relazioni fra gli ebrei e i tedeschi, ma anche, e moltissimo, sulle relazioni fra gli ebrei e i polacchi, che sono stati insieme - ma non nella stessa misura - vittime dell'ideologia nazional-socialista e che, a motivo della vicinanza in cui vivevano in quel luogo, sono diventati involontari testimoni dello sterminio degli ebrei. E un fatto - siamo costretti a riconoscerlo con rammarico - che le autorità comuniste per molti anni hanno considerato Auschwitz-Birkenau esclusivamente dal punto di vista della lotta contro il fascismo, cosa che non ha favorito la conoscenza dell'entità dello sterminio degli ebrei. Al riguardo. bisogna sottolineare che i polacchi e gli ebrei sono vissuti per secoli sullo stesso territorio la Polonia, e lo hanno considerato come la loro patria, nonostante l'insorgere qua e là di ten¬sioni e conflitti. Gli ebrei cacciati dai paesi dell'Europa occidentale hanno trovato rifugio in Polonia. Proprio per questo essi l'hanno spesso considerata come il paradisusjudaeorum, dato che potevano vivervi secondo i loro usi e costumi, la loro religione e la loro cultura. Diversamente da quanto avveniva in molti paesi dell'Europa, fino alla Seconda guerra mondiale, gli ebrei non sono mai stati cacciati dalla Polonia. Circa 1'80% degli ebrei che oggi vivono sparsi per il mondo ha le proprie radici, attraverso i genitori e i nonni, in Polonia. La perdita dell'indipendenza e la divisione, durata 120 anni, della Polonia fra la Russia, l'Austria e la Prussia hanno causato - assieme ad altre drammatiche conseguenze - il deterioramento delle relazioni fra i polacchi e gli ebrei. Nel periodo fra la Prima e la Seconda guerra mondiale, quando la Polonia, riconquistata l'indipendenza nel 1918, era alla ricerca della propria identità, si sono avuti nuovi motivi di tensione, le cui ragioni erano comunque di natura psicologica, politica, economica, e non razzista. Nonostante l'antisemitismo di certi ambienti, ancora qualche tempo prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, quando Hitler andava inasprendo le sue misure oppressive, la Polonia ha accolto migliaia di ebrei che scappavano dalla Germania.

Allo sterminio nazional-socialista degli ebrei molti polacchi si sono opposti con eroico coraggio e con abnegazione, mettendo a repentaglio la propria vita e quella delle loro famiglie. La solidarietà con i sofferenti e i perseguitati, basata sui principi del Vangelo, ha permesso ai bambini ebrei di trovare asilo praticamente in ogni monastero femminile polacco. Molti polacchi hanno perso la vita per aver osato nascondere gli ebrei, nonostante le minacce di morte comminate a loro e ai loro congiunti. Non bisogna passare sotto silenzio il fatto che il principio della responsabilità collettiva è stato applicato anche nei confronti dei polacchi che nascondevano gli ebrei. In molti casi, per aver nascosto gli ebrei, sono state uccise intere famiglie, dai bambini ai nonni. Come riconoscimento di questo fatto migliaia di polacchi sono stati insigniti della medaglia di «Giusti in seno ai popoli». Molti hanno offerto aiuto in modo anonimo. Purtroppo vi sono stati anche di quelli che hanno commesso atti indegni di un cristiano, che hanno ricattato gli ebrei nascosti o li hanno consegnati ai tedeschi.
Perciò ricordiamo ancora una volta le parole della lettera pastorale dei vescovi polacchi, letta ai fedeli nelle chiese e cappelle cattoliche il 20 gennaio 1991: «Nonostante i molti esempi eroici dei cristiani polacchi vi sono stati anche di quelli che sono rimasti indifferenti davanti a quest'incommensurabile tragedia. Ci addolorano, in particolare, quei cattolici che hanno contribuito in qualsiasi modo alla morte di ebrei. Essi rimangono un costante rimprovero per la nostra coscienza, anche nel suo aspetto sociale».

Il campo di sterminio di Auschwitz, costruito dai nazisti tedeschi e non dai polacchi, e tutto ciò che simboleggia, è un frutto dell'ideologia del nazional-socialismo, anch'essa non cresciuta sul suolo polacco. Accanto all'altra forma di totalitarismo, il comunismo, che, al pari del nazional-socialismo, ha mietuto molti milioni di vittime, anche il nazional-socialismo ha calpestato la dignità dell'uomo in quanto immagine di Dio. Si è avuta una dram¬matica comunione di destino di polacchi e ebrei, fatta di assoggettamento e di spietato sterminio, e tuttavia sono stati proprio gli ebrei ad essere vittime di un piano di sterminio sistematico e totale. «La demenziale ideologia ha architettato questo piano in nome dei principi del razzismo contemporaneo e lo ha realizzato con la più spietata conseguenzialità» ha affermato Giovanni Paolo II in occasione 'del suo pellegrinaggio in Germania (Kòln, 1 maggio 1987).

Il mezzo secolo trascorso dalla liberazione del campo di concentramento di Auschwitz¬Birkenau ci costringe a un chiaro rifiuto di ogni forma di disprezzo della dignità umana, di razzismo, di xenofobia, di antisemitismo e antipolonismo. «Noi che viviamo in un paese segnato dal peso del terribile avvenimento indicato con il nome di Shoah, vorremmo ripetere con forza, assieme a Edith Stein, che è morta nel campo di concentramento di Auschwitz per il solo fatto di essere ebrea, con la fede e la piena fiducia in Dio Padre di tutto il genere umano: L'odio non avrà mai l'ultima parola in questo mondo» (dal messaggio del papa al popolo tedesco in preparazione della sua visita nella Repubblica federale tedesca, Vaticano, 25 aprile 1987). L'unica garanzia al riguardo è l'educazione delle future generazioni nello spirito del rispetto reciproco, della tolleranza e dell'amore, secondo le raccomandazioni del documento Ebrei ed ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica. Sussidi per una corretta presentazione (24 giugno 1985).

IN NOME DEL COMITATO, STANISLAW GADECKI, PRESIDENTE

 

 

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