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Ascolta, Israele!La prima delle Dieci Parole: “Io sono il Signore, tuo Dio” - Giornata dell’Ebraismo, 2006

Paglia, Vincenzo - Laras, Giuseppe
Itália (2005/11/30)

 

«Il Decalogo (Es 20; Dt 5) è per noi patrimonio e impegno comune. I Dieci Comandamenti non sono un peso, ma l’indicazione del cammino verso una vita riuscita. Lo sono in particolare per i giovani (...). Il mio augurio è che essi sappiano riconoscere nel Decalogo questo fondamento comune, la lampada per i loro passi, la luce per il loro cammino (cf Sal 119, 105). Ai giovani gli adulti hanno la responsabilità di passare la fiaccola della speranza che da Dio è stata data agli ebrei come ai cristiani, perché “mai più” le forze del male arrivino al dominio e le generazioni future, con l’aiuto di Dio, possano costruire un mondo più giusto e pacifico in cui tutti gli uomini abbiano uguale diritto di cittadinanza».

Queste parole pronunziate da Papa Benedetto XVI nella sinagoga di Colonia il 19 agosto 2005 possono essere assunte quasi a dichiarazione programmatica per dare sostanza di dialogo e di comunione a questa Giornata che vede uniti in preghiera e nell’ascolto della parola di Dio i fedeli della Chiesa cattolica italiana. Al centro è posto il Decalogo, vera e propria stella polare della fede e della morale del popolo di Dio. Queste «dieci parole» sono, però, anche il «grande codice» della civiltà etica dell’intera umanità, dato che esse identificano bene e male, giusto e ingiusto, vero e falso anche secondo i criteri della coscienza retta di ogni creatura.

A partire da quest’anno vorremmo, perciò, iniziare un itinerario che avrà altre tappe nelle Giornate successive, così da proporre una riflessione costante e continua sulla sequenza progressiva dei dieci comandamenti. A guidare i cristiani c’è sempre il monito di Gesù che, fedele alla parola di Dio, a chi lo aveva interrogato sull’impegno operoso per ottenere la «vita eterna», aveva risposto: «Se vuoi entrare nella vita osserva i comandamenti» e li aveva anche elencati nei capi fondamentali (cf Mt 19,16-19).

In questa linea porremo, allora, al centro della Giornata 2006 il primo precetto, il comandamento principe, come è stato definito, vera e propria architrave dell’intera architettura spirituale del Decalogo, che, in questa luce, si rivela non solo come un codice morale ma anche come un testo teologico.

«Dio allora pronunciò tutte queste parole: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi”» (Es 20,1-6).

Questa solenne proclamazione di apertura delle «due tavole della testimonianza, tavole di pietra scritte dal dito di Dio» (Es 31,18), ci presenta un Dio che entra nella storia come persona, dichiarando il suo «io», ossia un’identità viva che agisce intervenendo nella vicenda umana con la sua parola e la sua azione. Egli, infatti, si manifesta come il liberatore degli oppressi ed è a questa sua rivelazione efficace, attestata sull’esodo d’Israele dalla schiavitù faraonica, che siamo invitati a offrire la nostra adesione di fedeltà e fiducia.
Ecco, allora, il primo dei tre impegni che costituiscono l’anima di questo comandamento. Dobbiamo innanzitutto riconoscere l’unicità assoluta e sovrana del Signore contro ogni tentazione idolatrica. È il grande appello dello Shemà, l’«Ascolta!», caro anche a Gesù di Nazareth: «Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo!» (Dt 6,4; cf Mc 12,29). Come insegna il prosieguo di quel testo, non si tratta solo di riconoscere in sede teorica il monoteismo, ma anche di scegliere il Signore come colui al quale ci si abbandona totalmente nella fede e nell’amore. All’interrogativo rivoltogli da uno scriba, su quale sia il massimo comandamento, Gesù risponde ripetendo lo Shemà con le parole di Mosè:
«Il primo comandamento è: Ascolta Israele! Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questi.
Allora lo scriba gli disse: “Hai detto bene, maestro, e secondo verità che Egli è unico e non v’è altri all’infuori di Lui; amarlo con tutto il cuore, e con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i sacrifici”. Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente, gli disse: “Non sei lontano dal Regno di Dio”» (Marco 12, 29-33).
Via ebraica e via cristiana si rispecchiano l’una nell’altra al punto da risultare indivisibili quanto alla sostanza spirituale ed etica. E la parola Ascolta Israele! dovrebbe ancora risuonare per i popoli del mondo quale invito ad ascoltare ed accogliere la testimonianza di fede dell’Israele di oggi.
C’è, poi, una seconda dichiarazione imperativa: «Non ti farai idolo né immagine alcuna…». Il pensiero corre alla scena del vitello d’oro, narrata subito dopo (Es 32) il dono del Decalogo e l’incontro con la parola di Dio.
L’appello è chiaro e tagliente: Dio non è riducibile ad un oggetto, a un segno magico, a un’ideologia. La sua è una realtà infinita ed eterna che travalica spazio e tempo. Se proprio si vuole scoprire una sua immagine, c’è la creatura da lui particolarmente amata: «Dio creò l’uomo a sua immagine, ad immagine di Dio lo creò» (Gn 1,27). Su questo si fonda l’intangibile dignità di ogni persona umana, dalla sua nascita alla sua morte.
Infine, il primo comandamento presenta un ultimo impegno: «Non ti prostrerai davanti agli idoli e non li servirai». In queste parole si esalta la purezza del culto: l’adorazione deve essere riservata solo al Signore come ammonirà anche Gesù rivolto a Satana tentatore (Mt 4,9-10). Il comandamento ricorda che il Signore è un «Dio geloso», cioè un Dio appassionato e innamorato nei confronti dell’umanità che potrà anche respingerlo e tradirlo ma che troverà la sua libertà e la sua pienezza solo nel rimanere legata a Lui in un nodo d’amore.
Siamo, quindi, di fronte a un precetto che coinvolge nello stesso modo ebrei e cristiani. Esso è un forte appello alla purezza della fede nei confronti di un Dio vivo e personale, esigente ma anche amoroso. Egli è il garante della verità, della libertà e della morale per tutti, anche per coloro che non credono in lui e non lo riconoscono. Ma è soprattutto un Dio d’amore che, se condanna il peccato punendo «fino alla quarta generazione», è pronto a perdonare chi è pentito e a svelare la sua grazia benevola «fino alla millesima generazione».

 

 

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