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Lettera Pastorale della Conferenza Episcopale Polacca In Occasione del 25 Anniversario della Dichiarazione Conciliare “Nostra Aetate”

Chiesa Cattolica. Polonia. Conferenza Episcopale
Polónia (1990/11/30)

 

Cari fratelli e sorelle in Cristo,
Ci rivolgiamo oggi a voi per una questione molta Importante che riguarda la nostra relazione con il popolo ebraico e la religione mosaica alla quale noi cristiani siamo uniti da legami unici ed irripetibili. Lo facciamo in occasione del 25° anniversario della promulgazio¬ne della Dichiarazione conciliare «Nostra aetate», nella quale la Chiesa ha precisato il suo rapporto con le religioni non cristiane e, tra di esse, anche nei riguardi degli ebrei. Questa Dichiarazione, approvata il 27 ottobre 1965, non ha perso nulla della sua portata e della sua attualità. Lo ha sottolineato molte volte il Santo Padre, il quale ha tra l'altro affermato: «Desidero confermare con tutto il mio protonico convincimento che la dottrina della Chiesa enunziata durante n Concilio Vaticano II nella Dichiarazione "Nostra aetate" (...) rimane sempre per noi e per la Chiesa Cattolica, per l'Episcopato (...) e per il Papa, una dottrina che deve essere seguita, una dottrina che obbliga non solo come una Convenienza, ma molto più, come un'espressione della fede, come una Ispirazione dello Spirito Santo, come dna parola della Divina Sapienza» (Discorso alla
comunità ebraica in Venezuela, li 27 gennaio 1985).
La Dichiarazione del Concilio indica, prima dì tutto, la molteplicità e la diversità dei legami che esistono tra la Chiesa Cattolica, la religione di Mosè e il popolo ebraico. La Chiesa non è così vicina ad alcuna altra religione, né è unita con cosi stretti legami con alcun altro popolo. «La Chiesa di Cristo, infatti, — scrivono i padri conciliari nella Dichiarazione — riconosce che gli inizi della sua. fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei Patriarchi, in Mosè e nei Profeti (NA, 9). Per questo Giovanni Paolo II, il quale, dopo San Pietro, primo tra i suoi successori visitò la sinagoga, parlando nella sinagoga di Roma il 13 aprile 1986, ha potuto rivolgersi agli ebrei come ai « nostri fratelli maggiori » nella fede.
La Chiesa è radicata nel popolo ebraico e nella fede degli ebrei, prima di tutto per il fatto che Gesù Cristo secondo la carne proviene da questo popolo. Tale evento centrale della storia della salvezza, sin dall'inizio fu voluto da Dio nel suo eterno piano di salvezza. Anche a questo popolo Iddio ha rivelato il suo Nome e con esso ha stretto la sua alleanza. Tale elezione è stata non soltanto un privilegio eccezionale, ma anche un grande impegno di fede e di fedeltà all'unico Dio fino alla testimonianza di sofferenza, e non di rado anche di morte. A questo popolo Dio ha affidato la particolare missione di unire tutti nella vera fede in un solo Dio e nell'attesa del Messia, Salvatore. Quando venne la pienezza del tempo, il Verbo eterno di Dio, Unigenito Figlio del Padre, prese il corpo dalla Vergine Maria, figlia del popolo ebraico. Gesù Cristo, annunziato dai profeti ed atteso dal suo popolo, nacque a Betlemme come «figlio di Davide, figlio di Abramo » (MI 1, 1). Dal popolo ebraico provengono anche « gli apostoli, fondamenta e colonne della Chiesa, e quei moltissimi primi discepoli che hanno annunciato... il Vangelo di Cristo » (NA, 4).
La Chiesa come popolo della nuova elezione ed Alleanza, non ha di¬seredato il Popolo di Dio della prima elezione ed Alleanza dei doni ricevuti da Dio. Come insegna infatti S. Paolo, gli ebrei « sono amati, a causa dei padri » (Rm 11, 24) e per ciò «i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili » (Era 11, 29). Ad essi appartiene anche « l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse » (Rm 9, 4). Dio non ha dunque re¬vocato la sua elezione al popolo ebraico, ma continua ad amarlo. E solo Lui, il Dio Supremo e Misericordioso, conosce il giorno «in cui tutti i popoli acclameranno il Signore con una sola voce e "lo serviranno appoggiandosi spalla a spalla." (Sof 3. 9) » (NA, 9).
Nella Dichiarazione, i Padri conciliari prendono posizione, in modo chiaro e deciso, contro la principale accusa di ritenere tutti gli ebrei responsabili della morte di Cristo. La Dichiarazione afferma: « E se le autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto é stato commesso durante la sua Passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo » (NA, 4). Alcuni però richiamandosi alle parole del Vangelo di S. Matteo: « II suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli » (Mt 27, 25), accusano gli ebrei della morte di Cristo. Infatti, tale frase significa: ci assumiamo la piena responsabilità di questa morte. Tuttavia non lo gridava l'intero popolo ebraico, ma soltanto la folla istigata, radunata davanti al palazzo di Pilato. Non si può neppure dimenticare che Gesù sulla croce pregava per quegli uomini come pure per tutti noi: «Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno» (Le 23, 34).
Il Catechismo del Concilio di Trento presenta così il problema della responsabilità per la morte di Cristo: «I cristiani peccatori sono pio colpevoli della morte di Cristo in Confronto con alcuni ebrei che vi presero parte: questi ultimi davvero "non sapevano quello che facevano" mentre noi lo sappiamo fin troppo bene» (pars I, cap. V, quaestio IX). La Dichiarazione «Nostra aetate» ricorda l'Insegnamento tradizionale della Chiesa che «Cristo (...), in virtù del suo grande amore, si è volontariamente sottomesso alla sua passione e morte a causa dei peccati di tutti gli uomini» (NA, 4).
L'insegnamento della Chiesa, contenuto in questa Dichiarazione, é stato sviluppato nei successivi documenti della Sede Apostolica. Particolarmente importante è il documento del 1985 intitolato « Ebrei e giudaismo nell'annuncio della Parola di Dio e nella catechesi della Chiesa Cattolica ». Esso merita la più ampia diffusione, specialmente tra i pastori e i catechisti.
Noi polacchi siamo uniti con popolo ebraico da particolari legami e ciò già dai primi secoli della nostra storia. La Polonia divenne una seconda patria per molti ebrei. La maggior parte degli ebrei che vivono attualmente nel mondo proviene dai territori dell'antica e dell’attuale Repubblica. Purtroppo, proprio questa terra è 'diventata, nel nostro secolo, una tomba per alcuni milioni di ebrei. Non per nostra volontà, né da nostra mano. Ecco che cosa diceva il Santo Padre, poco tempo fa, il 26 settembre u.s., sulla nostra storia comune: 11 C'e ancora una nazione, un popolo particolare: il popolo dei Patriarchi, di Mosè e dei Profeti, l'eredità della fede di Abramo... Questo popolo ha vissuto con noi durante le generazioni, braccio a braccio, su questa stessa terra che è diventata come una nuova patria della sua dispersione. Questo popolo è stato colpito con la morte terribile di milioni di figli e figlie. Prima li hanno marcati con un particolare marchio. Poi spinti in ghetti, in quartieri isolati. Poi portati alle camere a gas, dando loro la morte, soltanto perché erano figli di questo popolo. Gli assassini facevano tutto questo sulla nostra terra, forse per coprirla di infamia. Ma non si può coprire di infamia una terra con la morte di vittime innocenti. Con tale morte diventa essa una santa reliquia » (Discorso ai Polacchi durante l'Udienza di mercoledì, il 26 settembre 1990).
Invece durante lo storico incontro nel 1987 con 1 poco numerosi ebrei che vivono in Polonia, il Santo Padre disse a Varsavia: « Siate certi, cari fratelli, che i polacchi, questa Chiesa polacca, che guarda da vicino la terribile realtà dello sterminio della Vostra nazione, sterminio realizzato con premeditazione, lo fa in uno spirito di profonda solidarietà con voi. La minaccia contro di voi è stata anche una minaccia contro di noi. Questa ultima non si è realizzata nelle stesse dimensioni, non ha avuto il tempo per realizzarsi nelle stesse dimensioni. Questo terribile sacrificio dello sterminio lo avete subito voi, lo avete subito, si potrebbe dire, anche per gli altri che dovevano essere sterminati, (Alla comunità ebraica, 14 giugno 1987).
Durante l'ultima guerra, molti polacchi salvarono la vita agli ebrei. Centinaia, se non migliaia, hanno pagato tale aiuto con la propria vita e con quella dei propri cari. Dietro ad ogni ebreo salvato vi era un'intera catena di cuori di uomini di buona volontà e di mani tese per aiutare. Una eloquente testimonianza di questo soccorso per gli ebrei negli atroci anni dell'occupazione nazista, sono i numerosi alberelli dedicati ai polacchi nel luogo della rimembranza Jad Vaszem in Gerusalemme e l'onorifico titolo «Giusto tra le nazioni» conferito a molti polacchi, Nonostante così numerosi esempi eroici di aiuto da parte di cristiani polacchi, vi sono stati anche coloro che rimasero indifferenti di fronte a questa immane tragedia. Siamo particolarmente addolorati per coloro, tra i cattolici, che in qualunque modo abbiano contribuito alla morte degli ebrei. Essi rimarranno per sempre un rimorso di coscienza anche nella dimensione sociale. Se ci fosse anche un solo cristiano che, potendo aiutare un ebreo durante il pericolo, non l'abbia fatto o abbia contribuito alla sua morte, ciò ci impone di chiedere perdono alle nostre sorelle e ai nostri fratelli ebrei.
Siamo consapevoli che in molti nostri connazionali è sempre Vivo il ricordo dei torti e delle ingiustizie causate dai governi comunisti del dopoguerra, nei quali avevano parte anche persone di origine ebraica. Dobbiamo però ammettere che il fonte d'ispirazione della loro azione, certamente non era la loro origine, né la religione, bensì l'ideologia comunista dalla quale, del resto, gli ebrei stessi hanno sperimentato tante ingiustizie.
Esprimiamo anche un sincero rammarico per tutti gli atti di antisemitismo compiuti in terra polacca in qualunque luogo e da chiunque. Lo facciamo nella profonda 3: convinzione che tutte le manifestazioni di antisemitismo sono incompatibili con lo spirito del Vangelo — e come ha sottolineato ultima mente Giovanni Paolo II — «sono in piena contraddizione con la visione cristiana della dignità dell'uomo» (Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica in occasione del 500 anniversario dell'inizio della seconda guerra mondiale, 5).
Esprimendo il nostro rammarico a causa di tutte le ingiustizie e di tutti i torti recati agli ebrei, non possiamo non menzionare, ciò che noi reputiamo ingiusto e profondamente dannoso, l'uso da parte di molte persone del concetto del cosiddetto antisemitismo polacco come di una forma particolarmente pericolosa di antisemitismo, ed anche, il fatto che molte volte si uniscono i campi di concentramento non con i loro effettivi artefici, ma con i polacchi, nella Polonia occupata dai tedeschi. Parlando dello sterminio senza precedenti degli ebrei, non si può dimenticare, e tanto meno far passare sotto silenzio il fatto che anche i polacchi, come popolo, furono, tra i primi, vittime della stessa ideologia criminale razzista del nazismo hitleriano.
La stessa terra, che attraverso i secoli è stata la Patria comune dei polacchi e degli ebrei, il sangue versato in comune, il mare di atroci sofferenze, di torti subiti, dovrebbero non dividerci ma unirci. Per tale comunione gridano in particolare i luoghi di eccidio, e in molti casi anche le tombe comuni. Ci unisce, cristiani ed ebrei, la fede in un solo Dio, Creatore e Signore di tutto l'universo, che ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza. Ci uniscono i principi etici comunemente riconosciuti, contenuti nel Decalogo, che si racchiudono nel comandamento dell'amore di Dio e del prossimo. Ci unisce la venerazione per i libri biblici dell'Antico Testamento, per la Parola di Dio e le comuni tradizioni di preghiera. Ci unisce, infine, la comune speranza nella definitiva venuta del Regno di Dio. Insieme attendiamo il Messia, Salvatore, ari che se noi, credendo che questi è Gesù Cristo di Raserei, attendiamo non la prima ma la sua definitiva venuta, non già nella povertà della stalla di Sedemmo, ma nella potenza e nella gloria.
Il modo migliore per superare le difficoltà esistenti ancora oggi, e l'atteggiamento di dialogo che conduce all'eliminazione della mancanza di fiducia, di pregiudizi e di stereotipi e alla reciproca, sempre migliore conoscenza e comprensio¬ne, basata sul rispetto delle tradizioni religiose distinte, che é in grado anche di aprire la strada alla collaborazione molti campi. Per noi qui è importante imparare a vivere le a valutare i contenuti religiosi degli ebrei e dei cristiani, cosi come essi sono vissuti oggi, dagli ebrei e dai cristiani stessi.
Chiudiamo, amati fratelli e sorelle, la nostra parola pastorale ricordando le recenti espressioni del Santo Padre sui nostri comuni destini temporali e definitivi: «II popolo (ebraico), che ha vissuto con noi durante molte generazioni, è rimasto con noi dopo questa terribile morte di milioni dei suoi figli e figlie. Insieme aspettiamo il Giorno del Giudizio e della Risurrezione (Discorso ai polacchi durante l'udienza del mercoledì 26 settembre 1990).
Raccomando a Dio misericordioso tutte le vittime della prepotenza e dell'odio, vi benediciamo di cuore chiedendo che « il Dio della pace sia con voi » (Cfr. Fil 4, 9).

 

 

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