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Documents about the Jewish-Christian Dialogue

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Orientamenti e suggerimenti per l'applicazione della Dichiarazione Nostra Aetate n. 4

Commissione per le relazioni con l'ebraismo
Vaticano (1974/12/01)

 

La dichiarazione del concilio Vaticano II Nostra Aetate (28 ottobre 1963) "sulle relazioni della Chiesa con le altre religioni non cristiane" (n.4), segna una svolta importante nella storia dei rapporti ebreo - cattolici. Inoltre l'iniziativa conciliare è situata in un contesto profondamente modificato dal ricordo delle persecuzioni e dei massacri subiti dagli Ebrei in Europa immediatamente prima e durante la seconda guerra mondiale.

Benché il cristianesimo sia nato nell'ebraismo e abbia ricevuto da esso alcuni elementi essenziali della sua fede e del suo culto, la frattura fra le due religioni è divenuta sempre più profonda, fino a giungere quasi ad una reciproca incomprensione. Dopo duemila anni, troppo spesso segnati da ignoranza reciproca e da frequenti urti, la dichiarazione Nostra Aetate dava l'occasione di instaurare o perseguire un dialogo rivolto ad una migliore conoscenza reciproca.

Durante i nove anni trascorsi dalla promulgazione della dichiarazione, numerose iniziative sono state prese in diversi paesi. Tali iniziative hanno permesso di enucleare più chiaramente le condizioni nelle quali le nuove relazioni tra Ebrei e cristiani possono essere elaborate e sviluppate. Sembra dunque giunto il momento di proporre, secondo gli orientamenti del concilio, dei suggerimenti concreti, basati sull'esperienza, nella speranza che aiutino ad attuare nella vita della Chiesa le intenzioni esposte nel documento conciliare.

Sulla base del documento bisogna qui ricordare semplicemente che i legami spirituali e le relazioni storiche che ricollegano la chiesa all'ebraismo condannano, come avversi allo spirito stesso del cristianesimo, tutte le forme di antisemitismo e di discriminazione che d'altra parte, la dignità della persona umana è per se stessa sufficiente a condannare. Non solo, ma questi legami e queste relazioni impongono il dovere di una migliore comprensione reciproca e di una rinnovata mutua stima. Praticamente è dunque necessario, in particolare, che i cristiani cerchino di capire meglio le componenti fondamentali della tradizione religiosa ebraica e apprendano le caratteristiche essenziali con le quali gli Ebrei stessi si definiscono alla luce della loro attuale realtà religiosa.

Sulla base di queste considerazioni di principio, proponiamo semplicemente alcune prime applicazioni pratiche in campi essenziali della vita della Chiesa, al fine di instaurare o sviluppare in modo sano le relazioni tra i Cattolici e i loro fratelli Ebrei.

I. Dialogo

C'è da dire in verità, che le relazioni tra Ebrei e Cristiani, quando ce ne sono state, non hanno generalmente mai superato lo stadio di monologo. Ciò che ora importa è stabilire un vero dialogo. Il dialogo presuppone il desiderio di conoscersi reciprocamente, e di sviluppare e approfondire tale conoscenza. Esso costituisce un mezzo privilegiato per favorire una più profonda conoscenza reciproca e particolarmente per quanto riguarda il dialogo tra Ebrei e Cristiani, un mezzo per approfondire la ricchezza della propria tradizione. Condizione del dialogo è il rispetto dell'altro, così come esso è soprattutto rispetto della sua fede e delle sue convinzioni religiose.



In virtù della sua missione divina, la Chiesa per sua natura deve annunciare Gesù Cristo al mondo (ad Gentes, 2). Per evitare che questa testimonianza non appaia agli Ebrei come un'aggrssione, i Cattolici abbiano la cura di vivere ed annunciare la loro fede nel più rigoroso rispetto della libertà religiosa secondo gli insegnamenti del Concilio Vaticano II (Dichiarazione Dignitatis Humanae). Essi si sforzino anche di comprendere le difficoltà che l'anima ebraica, giustamente impregnata d'una nozione molto alta e pura della trascendenza divina, prova davanti al mistero del Verbo incarnato.



Se è vero che in questo campo regna ed è ancora abbastanza diffuso un clima di sospetto dovuto all'influenza di un passato da deplorare, i cristiani, da parte loro dovranno saper riconoscere la loro parte di responsabilità e trarre le conseguenze pratiche per l'avvenire. Oltre che i colloqui fraterni, dovranno essere incoraggiati anche gli incontri di esperienza per studiare i molteplici problemi connessi alle convinzioni fondamentali dell'ebraismo e del cristianesimo. Grande apertura spirituale, differenza verso i propri pregiudizi, tatto, sono le qualità indispensabili per non ferire, se pure involontariamente, l'interlocutore.



Nelle circostanze in cui sarà possibile e reciprocamente augurabile, si potrà favorire un incontro comune davanti al Signore, nella preghiera e nella meditazione silenziosa, così efficace perché nasca quello spirito di umiltà, quell'apertura di spirito e di cuore, necessarie per la conoscenza profonda di se stessi e degli altri. Lo si farà, in particolare, a proposito di grandi cause come quelle della giustizia della giustizia e della pace.



II. Liturgia



Ci si dovrà ricordare dei legami che esistono tra la liturgia cristiana e quella ebraica. La comunità di vita nel servizio di Dio e dell'umanità per amore di Dio, proprio come si realizza nella liturgia, caratterizza la liturgia ebraica come quella cristiana. Per le relazioni ebraico-cristiane, è importante prendere consapevolezza degli elementi comuni della vita liturgica (formule, feste, riti, ecc.) nella quale alla Bibbia è assegnato un posto essenziale.



Ci si sforzerà di comprendere meglio ciò che, nell'Antico Testamento, conserva un valore proprio ed eterno (cf. Dei Verbum 14-15), che non è cancellato dall'interpretazione ulteriore del Nuovo Testamento che gli conferisce il suo pieno significato, allorché vi si trovano reciprocamente luce e spiegazione (cf. ibid,, 16). Ciò è tanto importante nella misura in cui la riforma liturgica mette in contatto sempre più frequentemente i cristiani con i testi dell'Antico Testamento.



Nel commento dei testi biblici, senza minimizzare gli elementi originali del Cristianesimo, si metterà in luce la continuità della nostra fede con quella dell'antica Alleanza, nella linea delle promesse. Noi crediamo che esse sono state compiute al momento del primo avvento del Cristo; non è meno vero che siamo ancora in attesa del loro perfetto compimento nel momento del suo ritorno glorioso alla fine dei tempi.



Per quanto riguarda le letture liturgiche, si avrà cura di darne, nell'omelia, una giusta interpretazione, soprattutto per quanto concerne quei passaggi che sembrano porre il popolo ebraico in quanto tale in una situazione sfavorevole. Ci si sforzerà di istruire il popolo cristiano in modo che esso giunga a comprendere ogni testo nel senso autentico, nel suo significato per il credente di oggi.



Le commissioni incaricate di traduzioni liturgiche saranno particolarmente attente nel rendere le espressioni ed i passaggi che possono essere interpretati in senso tendenzioso da parte di Cristiani insufficientemente acculturati. È di tutta evidenza che non si può cambiare il testo biblico, pur avendo la cura, in una versione destinata all'uso liturgico, di rendere esplicito il significato di un testo tenendo conto degli studi esegetici.



III. Insegnamento ed educazione


Sebbene vi sia ancora un vasto lavoro da svolgere, negli anni appena trascorsi si è giunti ad una migliore comprensione dell'ebraismo in sé e della sua relazione col cristianesimo, grazie agli insegnamenti della chiesa, agli studi e alle ricerche degli esperti e al dialogo che si è potuto instaurare. A tale proposito meritano di essere ricordati i seguenti punti:



- È lo stesso Dio "il quale ha ispirato i libri dell'uno e dell'altro Testamento" (Dei Verbum, n. 16), che parla nell'antica e nella nuova alleanza.



- Il giudaismo del tempo di Cristo e degli apostoli era una realtà complessa che assorbiva in sé tutto un mondo di tendenze, di valori spirituali, religiosi, sociali e culturali.



- L'Antico Testamento e la tradizione ebraica su di esso fondata non debbono essere considerati in opposizione al Nuovo Testamento, come se essi costituissero una religione della sola giustizia, del timore e del legalismo senza appello all'amore di Dio e del prossimo (Cf. Dt 6,5; Lv 19, 18; Mt 22,34-40).



- Gesù, come i suoi apostoli e un gran numero dei suoi primi discepoli, è nato dal popolo ebraico. Egli stesso, rivelandosi come Messia e Figlio di Dio (Cf. Mt 16,16), portatore di un nuovo messaggio, quello del Vangelo, si è presentato come il compimento e il perfezionamento della precedente rivelazione. E benché l'insegnamento di Cristo abbia un carattere profondamente nuovo, esso tuttavia si fonda a più riprese, sull'insegnamento dell'Antico Testamento. Il Nuovo Testamento è intimamente contrassegnato dalla sua relazione all'Antico. Come ha dichiarato il concilio Vaticano II: "Dio, il quale ha ispirato i libri dell'uno e dell'altro Testamento e ne è l'autore, ha sapientemente disposto che il Nuovo fosse nascosto nel Vecchio e il Vecchio diventasse chiaro nel Nuovo" (Dei Verbum, n. 16). E inoltre Gesù fa uso di metodi di insegnamento analoghi a quelli usati dai rabbini del suo tempo.



- Per quanto riguarda il processo e la morte di Gesù, il concilio ha ricordato che la passione, non può essere imputata né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi, né agli Ebrei nel nostro tempo" (Nostra Aetate, n.4).



- La storia dell'ebraismo non si è conclusa con la distruzione di Gerusalemme. Questa storia ha continuato a svolgersi sviluppando una tradizione religiosa la cui portata, pur assumendo - crediamo noi - un significato profondamente diverso dopo Cristo, resta tuttavia ricca di valori religiosi.



- Con i profeti e con l'apostolo Paolo "la chiesa attende il giorno, che solo Dio conosce, in cui tutti i popoli acclameranno il Signore con una sola voce e lo "serviranno appoggiandosi spalla spalla" (Sof 3,9)" (Nostra Aetate, n.4). L'informazione su queste questioni deve riguardare tutti i livelli d'insegnamento e di educazione del cristiano. Tra i mezzi di informazione, una particolare importanza rivestono quelli qui di seguito elencati:


- manuali di catechesi;


- libri di storia;


- mezzi di comunicazione sociale (stampa, radio, cinema, televisione).


L'uso efficace di tali mezzi presuppone una specifica formazione degli insegnanti e degli educatori nelle scuole, come pure nei seminari e nelle università. Si stimolerà la ricerca degli specialisti sui problemi relativi all'ebraismo e alle relazioni ebreo - cristiane, specialmente nei campi dell'esegesi, della teologia, della storia e della sociologia. Gli istituti superiori cattolici di ricerca, possibilmente in collaborazione con altri istituti cristiani ad essi analoghi, come pure gli specialisti, sono invitati a dare il loro contributo per la soluzione di tali problemi. Si istituiranno poi - dove ciò sia possibile - delle cattedre per studi ebraici, e si incoraggerà una collaborazione con studiosi ebraici.



IV. Azione sociale e comune


La tradizione ebraica e cristiana fondata sulla parola di Dio, è cosciente del valore della persona umana, immagine di Dio. L'amore per un medesimo Dio deve tradursi in una concreta azione in favore dell'uomo. In accordo con lo spirito dei profeti, Ebrei e Cristiani collaboreranno di buon grado nelle ricerca della giustizia sociale e della pace, a livello locale, nazionale e internazionale. Questa azione comune può allo stesso tempo favorire largamente una stima e una conoscenza reciproche.



Conclusione


Il concilio Vaticano II ha indicato la via da seguire per promuovere una profonda fraternità tra Ebrei e Cristiani. Ma un lungo cammino resta ancora da percorrere. Il problema dei rapporti tra Ebrei e Cristiani riguarda la Chiesa come tale, poiché è "scrutando il suo proprio mistero" che essa fronteggia il mistero di Israele. Questo problema conserva dunque tutta la sua importanza anche in quelle regioni dove non esistono comunità ebraiche. Esso ha inoltre una implicazione ecumenica: il ritorno dei Cristiani alle sorgenti e alle origini della loro fede, innestata sull'antica alleanza, contribuisce alla ricerca dell'unità in Cristo, pietra angolare. A questo proposito, nel quadro della disciplina generale della chiesa e dell'insegnamento comunemente professato per mezzo del suo magistero, i vescovi sapranno prendere le opportune iniziative pastorali. Essi istituiranno, ad esempio, a livello nazionale o regionale, delle commissioni o segretariati appositi, o nomineranno persone competenti con l'incarico di promuovere la messa in atto delle direttive conciliari e dei suggerimenti qui esposti.

 

 

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