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Qui non si può entrare: l'ingegnosa suor Augustine e i rastrellamenti nazisti

20/10/2014: Casa generalícia - Roma

Dopo il ricatto della consegna dei cinquan- ta chilogrammi d’o ro imposta alla comunità ebraica romana dal comandante della Gestapo Herbert Kappler, in cambio della loro sal­vezza, il 16 ottobre 1943 un reparto speciale delle ss agli ordini del ca­pitano Theodor Dannecker, iniziò la caccia agli ebrei per tutti i quar­tieri della capitale rastrellando dal-le loro case 1259 persone. Per fortuna alcuni di loro, come la famiglia di Angelo Alatri ed Ester Ottolenghi, grazie all’imbec­cata ricevuta da un loro amico, riu­scirono a salvarsi rifugiandosi con le loro figlie Emma e Lea prima nell’appartamento    dell’avvocato Rey in via dell’Arco de’ Ginnasi e poi, il 24 ottobre, insieme ad altri correligionari, presso il convento delle suore di Notre-Dame de Sion. La madre superiora, suor Augustine, e la sua assistente, suor Maria Agnesa, dopo la razzia nazista avevano subito spalancato le porte della loro casa, con il bene­placito del Vicariato, a ben 187 ebrei. «Il 16 ottobre, all’alba, era una mattina d’autunno — scriveva la cronista dell’epoca — il tempo era cupo e piovoso, gruppi compatti di donne israelite accompa­gnate dai loro bambini hanno at­traversato il cancello di via Gari­baldi e, piangendo, urlando, ge- mendo, fanno irruzione nel parla­torio». In un batter d’occhio fu al­lestita una grande camerata. «Do- po qualche giorno — r i c o rd a n o suor Philomène e suor Louise — al­cuni si erano azzardati a tornare a casa per prendere almeno un po’ di biancheria. Per fortuna, hanno avuto un po’ di denaro, così alme­nonon hanno sofferto la fame. Una suora, infatti, fu incaricata per l’acquisto del loro cibo al mercato nero». Al di sotto dello scalone dell’ala sud, si erano sistemati i Di­tava con nonna, figli e nipoti; la serra, invece, era divenuta il rifugio degli ultimi arrivati, mentre nel vil­lino accanto, nell’ex casa del giar- diniere, avevano trovato ospitalità le famiglie Panzieri e Fiorentini. In un altro angolo del convento alloggiavano Renata, Leone ed Elio Di Cori, Pietro Gay, il figlio dell’ex rabbino di Genova Fer­ruccio Sonnino e Roberto Mo- digliani insieme a sua madre Giuditta Tagliacozzo e sua zia Emma Ascarelli. Tra questi rifugiati vi erano an­che due profughi ebrei di Zagabria. Dopo qualche giorno, appreso che le loro famiglie si trovava­no a Sion, si presenta- rono altri tre ebrei travestiti da domenicani. Per garantire l’in­columità dei loro ospiti le religiose avevano escogitato un sotterfugio, col­locando nei pressi della cucina un grande armadio a muro all’interno del quale avevano inse­rito una porticina: ogni volta che scattava l’allarme, tutti i rifugiati si precipitavano lì e, attraverso quella botola, entravano nella stanza accanto per evitare il peggio. Il pericolo, infatti, era sempre in agguato anche perché, proprio in quel periodo, la superiora ricevette alcune lettere anoni­me che le intimavano di non ospitare altri ebrei, altrimenti sarebbe arrivata la vendetta dei nazisti. Un sacerdote, inoltre, le aveva riferito che in seguito a qualche delazione la casa di Notre-Dame de Sion era stata inclusa dalla Ge­stapo nella lista degli enti ecclesia­stici da perquisire. E ciò avvenne il I° giugno 1944, quando una pattu­glia di SS cercò di fare irruzione nel convento. «Non si può entrare qui, signori — esclamò suor Augu­stine — non avete visto la bandiera gialla e bianca sventolare sul no- stro tetto? È la bandiera del Papa. Se, tuttavia, si desidera avere la conferma di ciò che dico, datevi la briga di esaminare questa carta». Così dicendo, mostrò al coman­dante tedesco il documento di extraterritorialità rilasciato dal Vaticano tare altri ebrei, altrimenti sarebbe arrivata la vendetta dei nazisti.

Un sacerdote, inoltre, le aveva riferito che in seguito a qualche delazione la casa di Notre-Dame de Sion era stata inclusa dalla Ge­stapo nella lista degli enti ecclesia­stici da perquisire. E ciò avvenne il I° giugno 1944, quando una pattu­glia di SS cercò di fare irruzione nel convento. «Non si può entrare qui, signori — esclamò suor Augu­stine — non avete visto la bandiera gialla e bianca sventolare sul no- stro tetto? È la bandiera del Papa. Se, tuttavia, si desidera avere la conferma di ciò che dico, datevi la briga di esaminare questa carta». Così dicendo, mostrò al coman­dante tedesco il documento di extraterritorialità rilasciato dal Vaticano che suor Agnesa aveva ottenuto dalla Segreteria di Stato gra­zie a monsignor Francesco Bellan-do. Nel frattempo il portiere aveva fatto scattare l’allarme, consenten­do ai rifugiati di raggiungere il na­scondiglio. Fiutando il pericolo, tre ebrei avevano pensato di intru­folarsi nella vicina Villa Spada che poco dopo fu circondata dai tede­schi, che li acciuffarono.Tuttavia, grazie ai documenti falsi di cui era in possesso, l’anzia­norabbino polacco riuscì a salvar- si, mentre gli altri due ebrei, Cava e Di Veroli, furono condotti in pri- gione dove, comunque, rimasero solo poche ore. Il 4 giugno, infatti, le truppe alleate facevano il loro ingresso nella capitale ormai libe­rata dall’occupazione nazista.

 

 

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