I miracoli di Gesù: polemica antifarisaica?
14/12/2006: Maria Brutti 1. Il dibattito sui miracoli di Gesù: vari approcci metodologici Scopo di questo incontro non è l’analisi del problema storico dei miracoli, né la rassegna dei vari tipi di miracolo, ma una prospettiva più particolare: quella del rapporto tra Gesù e l’Ebraismo del suo tempo, così come può essere definito dai racconti dei miracoli. Come afferma Vledder, nell’Introduzione al suo testo del 1977 intitolato: “Conflict in the Miracles Stories. A Socio-Exegetical Study of Matthew 8 and 9: “In all times the discussion about the miracle presents itself anew and therefore was never laid to rest” 1. In effetti, il dibattito sui miracoli di Gesù, mostra una lunga e complessa articolazione nel tempo. Come afferma Kollmann, quasi nessun evento del Nuovo Testamento “causa all’uomo di oggi, la cui mentalità è vincolata alla concezione scientifica del mondo dell’età moderna, difficoltà di comprensione quali quelle presentate dai miracoli” 2. Tuttavia, come già detto, questo problema, che ha interessato la teologia soprattutto negli ultimi tre secoli, quando si interrogava sul valore storico e sulla necessità di una interpretazione adeguata delle storie di miracolo del Nuovo Testamento, tocca solo marginalmente la conversazione di oggi (non basterebbe un intero corso!). Per una informazione molto generale sullo sviluppo che nella storia della teologia ha avuto tale dibattito, mi limito alla tabella fornita da Kollmann 3 e rimando per un ulteriore iniziale approfondimento al suo manuale, tradotto anche in lingua italiana. In questi ultimi anni si è sviluppata un’altra linea di ricerca che,senza escludere l’approccio storico-critico, si interroga primariamente sul problema riguardante la funzione sociologica delle storie di miracolo nel Nuovo Testamento.4 All’interno di questo discorso, ci si è quindi chiesti se le narrative dei miracoli di Gesù abbiano una funzione “cristologica”, vogliano cioè legittimare il compito e la posizione di Gesù come il Messia incarnato, o piuttosto una funzione “ecclesiologica”, in quanto rifletterebbero la situazione delle prime comunità ecclesiali. Un terzo gruppo di studiosi ha individuato nelle storie di miracolo l’espressione di un conflitto tra Gesù e le autorità religiose del suo tempo a proposito della interpretazione della Torā.5 Questa tendenza, tuttavia, era già presente più di quarant’anni fa in uno studio di Franz Mussner, tradotto in italiano come: “Gesù e i miracoli”. 2. La teoria “antifarisaica” di F. Mussner Considerando il racconto della guarigione del lebbroso in Mc 1:40-45, Mussner, secondo il quale la narrazione farebbe parte degli ipsissima facta Jesu 6 , vedeva una “presa di posizione anti-farisaica”7 nel comportamento di Gesù. Volgendosi a esaminare la posizione dei lebbrosi nella comunità d’Israele, Mussner osservava come sia i testi biblici (Lv 13,45 ss.), che le interpretazioni post-bibliche (Kelim 1,4.6; Neg 13,11), sia i testi di Qumran (1QSa II, 5ss) che Flavio Giuseppe (Contra Apionem I, 31; Guerra Giudaica V, 5,6; Antichità Giudaiche III, 11,3) sottolineavano l’isolamento in cui i lebbrosi erano tenuti per la loro impurità, impurità che ha un carattere “cultico-rituale”.8 Il lebbroso era considerato come un peccatore punito da Dio; era escluso dalla liturgia del tempio, dato che non poteva entrare nella città santa ed era equiparato a un morto.9 A parere di Mussner, tutta questa situazione spiegherebbe il comportamento di Gesù che, secondo il vangelo di Marco, si adira per l’ingiustizia di cui soffrivano i lebbrosi in Israele, tocca il lebbroso per entrare in comunione con lui e condanna così il falso legalismo adottato in Israele contro i lebbrosi, mostrando nella sua azione “un evidente significato antirabbinico”.10 Da Mussner ad oggi, nuovi studi hanno proposto altre interpretazioni del brano evangelico. Tuttavia, vorrei, prima di tutto soffermarmi ad esaminare il testo in questione, considerandolo secondo la triplice tradizione giunta fino a noi (Mc 1:40-45; Mt 8:1-4; Lc 5:12-16) 3. La guarigione del lebbroso nella triplice tradizione (Mc 1:40-45//Mt 8:1-4//Lc 5:12-16) Nella pericope di Mc 1:40-45, possiamo notare lo schema ricorrente nei racconti di miracolo: 1) Richiesta: nel contesto del ministero di Gesù in Galilea, un lebbroso si avvicina a Gesù e gli chiede di essere “purificato” 2) Esaurimento della richiesta: Gesù si avvicina, tocca con la mano il lebbroso e pronuncia parole di purificazione 3) Guarigione: il lebbroso è mondato dalla lebbra 4) Duplice invito di Gesù all’uomo guarito: a) Non dirlo a nessuno; b) Va’, mostrati dal sacerdote e presenta l’offerta che ha prescritto Mosè “a testimonianza per essi”. Rispetto a questo di Marco,i racconti di Luca e Matteo presentano stretti paralleli, ma anche alcune divergenze: a) la collocazione spazio-temporale è differente: in Matteo, il racconto è collocato dopo il discorso della montagna; in Luca in Giudea, dopo la chiamata dei primi discepoli b) L’azione e le parole di richiesta del lebbroso coincidono nei tre vangeli: “se vuoi, puoi mondarmi” (Ean théles dynasai me katharisai). Tuttavia, le parole di Mt e Lc sono però precedute dall’invocazione: “ku/rie”. Anche le azioni e le parole di Gesù coincidono (Mc 1,41//Mt 8,3//Lc 5,13: c) hepsato…, thelo, katharistheti, ma in Marco viene sottolineata la reazione emozionale di Gesù (v.41 splanchnistheis “mosso a compassione”; v. 43 embrimesamenos: rimbrottandolo, forme che mancano negli altri due. Mussner, nel v. 41, al verbo “splanchnistheis: mosso a compassione, preferisce la variante horgistheis : adiratosi, in quanto manca in Matteo e Luca.11 In realtà, alcuni manoscritti occidentali leggono horgisthei s e, sulla base del principio: lectio difficilior potior (= la lezione/variante più difficile è preferibile a quella più facile), alcuni commentatori traducono il verbo come “adiratosi”. Comunque, a favore della lezione splanchnistheis vanno sia il peso maggiore di manoscritti importanti come ), A, B,C etc.), sia il fatto che i copisti non hanno alterato altri passi che presentano Gesù come adirato.12 d) C’è invece una sostanziale coincidenza nell’ordine che Gesù impartisce al lebbroso. d) Il versetto finale (v. 45) che sottolinea il diffondersi della notizia e l’isolamento di Gesù coincide in Mc e Lc, mentre manca in Mt. Un problema particolare è dato dall’espressione “a testimonianza per loro” (v. 44 ), dove “per loro” può essere letto come dativo di vantaggio o di svantaggio. Secondo Mussner, l’espressione “eis martyrion autois", significa o ”in testimonianza per il popolo” oppure “in testimonianza contro il popolo”. Nel primo caso, essa allora indicherebbe che Gesù riconosce le prescrizioni legali dell’Antico Testamento circa i lebbrosi anche se, quando tocca il lebbroso, le trasgredisce; nel secondo caso, invece, l’espressione significherebbe che, nel momento in cui il sacerdote constata la guarigione del lebbroso, viene posta una grave testimonianza a carico dell’incredulità in cui il popolo rimane.13 Considerando la stessa espressione nel Vangelo di Matteo (8,1-4), in uno studio pubblicato recentemente su Rivista Biblica,14 Santi Grasso individua, nell’uso del termine martyrion (= testimonianza, attestazione, prova) un contesto di polemica e di contrasto.15 A suo parere, l’ordine della testimonianza impartita da Gesù è allo stesso tempo “ironico e ambiguo”. Se da un lato Gesù sembra sottostare perfettamente alla Legge, in coerenza con il principio indicato nel discorso della montagna dove afferma di non essere venuto ad abolire la Legge, ma a portarla a compimento (Mt 5,17), dall’altro “proprio con questo atto di sottomissione, egli mostra come la legalità giudaica non sia effettivamente salvifica. In questo senso infatti egli è venuto non soltanto a legittimare la Legge, ma a superarla”.16 Tuttavia lo stesso studioso riferisce questo atteggiamento di Gesù alla prospettiva propria del Vangelo di Matteo che, rispetto a Marco e Luca, accentua il contrasto tra Gesù e il mondo giudaico, tra Gesù e una religiosità che, “attenendosi a prescrizioni legali sulla malattia della lebbra, mantiene una situazione di separazione e quindi di solitudine, sulla base di casistiche e normative circa la prassi rituale di purità, si distacca dalla vera salvezza che invece proviene proprio da Gesù”.Questa prospettiva di Matteo, a parere dello studioso,17 sarebbe confermata dall’omissione di due particolari che rende la redazione di Matteo diversa da quelle di Marco e di Luca: la trasgressione dell’ordine da parte dell’uomo guarito e la diffusione della sua notorietà.18 L’ipotesi di Grasso corregge la posizione di Mussner che proponeva una immediata identificazione tra il Gesù dei Vangeli e il Gesù della storia (gli ipsissima facta 19 ), tuttavia lascia aperti gli interrogativi che costituiscono il nodo centrale di questo incontro. E’ possibile risalire dai racconti evangelici all’atteggiamento del Gesù storico di fronte alla Legge? L’ordine del silenzio, presente nella triplice tradizione, fa di Gesù un personaggio obbediente alla Legge, oppure in polemica con essa? Nell’ operare il miracolo del lebbroso, Gesù trasgredì o no la Torā? E, in particolare, Gesù era contro l’osservanza della purità? Il suo comportamento si può definire “antirabbinico”? La ricerca intorno a questi interrogativi, ci porta a considerare il testo, a partire dal v. 1,40, distinto nei tre segmenti che lo costituiscono: 1) Il lebbroso 2) si avvicina a Gesù 3) gli chiede di essere purificato. 1) Il lebbroso: la questione terminologica Meier, considerando tra i miracoli di Gesù, quelli sulle persone affette da lebbra, sottolinea la difficoltà di esprimere un giudizio storico per tre principali motivi: 1) esistono solo due racconti sui miracoli di guarigione dalla lebbra (Mc 1:40-45; Lc 17,11-19) o forse uno solo se si ritiene il racconto di Luca come un ampliamento del primo; 2) alcuni studiosi, tra cui Rudolph Pesch, fanno risalire questi miracoli alla teologia della chiesa primitiva e non alla vita di Gesù; 3) Non siamo affatto sicuri del significato preciso del termine “lebbra” in questi racconti dei vangeli 20 . Come sottolinea infatti anche Pilch, l’uso biblico del termine “lebbra”, sia in inglese, o in ebraico o in greco non riflette “the order of the medical things. Therefore, it has to be decoded”.21 Anche per Meier, l’uso del termine “lebbra” per tradurre l’ebraico sara’at, è già di per sé fuorviante, in quanto in Lev 13-14 che costituisce la legislazione più importante sull’argomento, sara’at può indicare vari tipi di affezioni, riferibili a vestiti, abitazioni o anche a diverse forme di lesioni della pelle.22 Il problema è stato considerato anche da Kazen 23 , il quale osserva come sara’at, usato nella Bibbia ebraica ad indicare una delle forme maggiori di impurità, è tradotto dalla LXX come lepra divenendo poi il termine usato dagli scrittori del Nuovo Testamento. La traduzione inglese “leprosy” (italiano: lebbra) è ingannevole, perché è il nostro termine per il morbo di di Hansen, che non si adatta a molti dei sintomi di descritti in Lev 13. Il greco lepra è usato allo stesso modo da scrittori greci come un termine generico per malattie cutanee. La malattia di Hansen comunque sembra essere stata sconosciuta nell’area mediterranea prima del periodo ellenistico e fu allora indicata dai termini elefas, o elefantiasis, designazione che apparve comunque dopo la prima traduzione greca della Bibbia dei LXX e, dunque, è in pratica impossibile dire se lepra nelle tradizioni dei Vangeli, che seguono l’uso della LXX, può includere il morbo di Hansen oppure no. E’ interessante notare la terminologia relativa alla lebbra e al lebbroso nei testi di Qumran. Troviamo due sostantivi: menuga e mesora‘. Il primo, menuga‘ è un termine generale per indicare una persona con una nega‘, qualche tipo di piaga, e deriva dalla radice naga‘; il secondo, mesora‘, dalla radice sara‘v, è un termine più specifico per il lebbroso e si trova spesso usato nella forma del participio saru‘a per indicare il “lebbroso”.24 Anche Harrington osserva che, a differenza della moderna lebbra, cioè il morbo di Hansen, sara’at non è considerato contagioso dal punto di vista medico. Ad esempio, il lebbroso Naaman il Siro di 2 Re 5,1 poteva esercitare la funzione di comandante militare in stretto contatto con un esercito. 2) si avvicina a Gesù: la solitudine del lebbroso (la questione legale) Tuttavia, se non contagiosa fisicamente, la malattia appare come la più contagiosa di tutte le impurità del sistema biblico, tranne l’impurità del corpo.25 Per questo richiede l’isolamento. Secondo il Rotolo del Tempio, il lebbroso non può entrare in una città fino a che non sia purificato: 11Q19 48:14-15 “E in ogni singola città erigerete dei luoghi per coloro che sono infetti [15] di lebbra, di piaghe, di ulcere, affinché non entrino nelle vostre città e non le contamino”. Nello stesso Rotolo, l’autore descrive un’area speciale per la quarantena, ad est della Città del Tempio, riservata per lebbrosi, così come un’area separata per certi altri tipi di portatori di impurità: 11Q19 48: 16-16 “E costruirai [17] tre luoghi, a est della città, separati l’uno dall’altro nei quali andranno i lebbrosi…”. L’assenza di contatto con i lebbrosi è confermata anche da Flavio Giuseppe. In Ant. 3,264 leggiamo: “I lebbrosi poi [Mosè] li ha banditi dalla città; non possono avere relazioni con alcuno; non differiscono dai cadaveri, ma se uno innalza suppliche a Dio e ottiene la liberazione, riacquista una pella sana…” Ostracizzato dalla società, l’esistenza quotidiana del lebbroso era miserabile. Un altro testo di Qumran, 4Q Tohorot, frammento A (=4Q 274 fr.1 col.1 3-4), ricorda le prescrizioni del Levitico (13,45-46): il lebbroso doveva gridare: Impuro, Impuro a chi passava dalle sue parti. Questa convinzione tuttavia sembra contrastare con quanto troviamo nel racconto dei Vangeli Sinottici, dove il lebbroso (Mc1,40 e paralleli) non sembra coinvolto in tali prescrizioni: in un luogo imprecisato, si avvicina a Gesù (kai herchetai pros auton). Nessun commento da parte dell’autore a questa trasgressione. La cosa appare ancora più sorprendente se consideriamo i testi paralleli. In Matteo, l’episodio avviene subito dopo il discorso della Montagna: “Ora, quando Egli discese dal monte, lo seguirono molte folle. Ed ecco, essendosi avvicinato un lebbroso” (8,2) mentre in Luca addirittura in una città della Galilea: “ avvenne che , mentre Egli era in una delle città, ed ecco un uomo pieno di lebbra; ora, vedendo Gesù, cadendo sulla faccia, lo pregò… (5,12). Il problema trova un interessante punto di confronto con altre due tradizioni. La prima è costituita dal passo del vangelo di Luca (17,11-17) già citato, nel quale dieci lebbrosi vengono incontro a Gesù, ma si tengono a distanza. Secondo Kazen, in pieno accordo con la legislazione del tempo.26 La seconda è data dal cosiddetto Papiro Egerton 2. Rinvenuto nel 1934 e pubblicato da Bell e Skeat nel 1935, 27 contiene quattro differenti pericopi, di cui la seconda e la terza sono parallele e probabilmente varianti della storia di guarigione dalla lebbra e della tradizione sul pagamento delle tasse (Mc 1,40-45; Mc 12, 13-17 par.). Il testo della pericope del lebbroso, generalmente accettato come ricostruito da Bell e Skeat, presenta notevoli somiglianze con la pericope del vangelo di Marco, ma alcune differenze che lo pongono vicino piuttosto alpasso di Lc 17,11-17. Appare del tutto atipico il fatto che il lebbroso si avvicini a Gesù e si lamenti del fatto che, viaggiando e mangiando con i lebbrosi, lui stesso abbia preso la lebbra. Chiede quindi di essere purificato. Da qui sono nate due diverse linee di lettura: quella che si interroga se l’ ostracismo del lebbroso fosse non così forte in certe aree rurali come in città; quella che ritiene le azioni del viaggiare e del mangiare, espresse dai participi synodeuon, e sunesthion, da riferire a Gesù e non al lebbroso. Il problema è ancora più complicato dalla datazione del papiro: i primi editori, sulla base di considerazioni paleografiche, gli avevano inizialmente assegnato una data tra l’80 e il 120, facendone così una parte di un vangelo sconosciuto, ma in un secondo momento la datazione è stata spostata verso il 200, dipendente quindi dai vangeli canonici. E questa appare oggi la ipotesi prevalente.28 Ulteriori considerazioni sul problema provengono da altri testi giudaici. Nel trattato Negaim della Mishnah troviamo sia discussioni sull’impurità della casa dove è entrato un lebbroso (mNeg 13:11), sia su come sistemare i lebbrosi in sinagoga, per mezzo di una speciale divisione (mNeg 13:12). Infine un testo di Qumran (4Q MMT B 64-72) è stato letto da Schiffman come una accusa contro chi autorizzava i lebbrosi a toccare cibo puro e a entrare nel Tempio.29 Ma anche queste due ultime testimonianze sono problematiche: la prima perché non si può riferire ad una datazione precisa ed è stato intesa da alcuni come una evoluzione successive delle norme di legge sul problema; la seconda perché la lettura del testo è complessa e discussa. Non entro nei particolari, ma osservo soltanto che la varietà delle testimonianze, pure se controverse e discusse, mostrano per lo meno la presenza di una discussione sulle norme stesse all’interno dell’ebraismo del tempo. Ma, e questo è il problema: di quale tempo? Possiamo sapere quali fossero le norme di purità degli anni tra il 29/30 e il 70 d.C., tra il periodo durante il quale Gesù esercitò il suo ministero e la composizione del primo vangelo? 3) gli chiede di essere purificato: la lebbra come punizione (la questione cultica) E giungiamo al terzo momento: gli chiede di essere purificato. Se gli autori dei Vangeli sinottici non appaiono particolarmente interessati al problema dell’eventuale contagio fisico, non è così riguardo alla contaminazione morale. In tutti e tre i sinottici troviamo la richiesta del lebbroso: Se vuoi, puoi mondarmi, che in Mt 8,2; Lc 5,12 è preceduta dall’invocazione “Signore”. Questa richiesta appare legata a due diverse considerazioni. La prima riguarda la concezione della lebbra come “punizione divina”, idea attestata nelle fonti antiche della Mesopotamia e legata sia a peccati contro la divinità che a colpe morali e presente anche nella Bibbia ebraica, negli episodi di Miriam, Gehazi e Ozia (Num 12,9; 2 Re 5,27; 2 Chr. 26,20-21) e nella maledizione di Davide sulla casa di Joab (2 Sam 3, 29).30 Ma è concezione che appare anche in alcuni testi di Qumrann e in alcuni testi rabbinici. Un frammento del Documento di Damasco descrive la lebbra come uno spirito maligno che entra nel corpo (4Q 267 9i). 4QMMT 73 elenca il peccato del lebbroso come calunnia e blasfemia, 31 peccati a cui si fa riferimento anche in un testo rabbinico, docommento a Lev 14,35: il padrone della casa andrà a dichiararlo al sacerdote, dicendo: Mi pare che in casa mia ci sia come della lebbra, Tosefta Negaim 6:7 così si esprime 32 : B. Il sacerdote dirà a lui parole di rimprovero: “Figlio mio, la calamità è venuta solo a causa della calunnia, come sta detto: “[8]In caso di lebbra bada bene di osservare diligentemente e di farlo. Ricordati di quello che il Signore tuo Dio fece a Maria (Dt 24,8) C) “E cosa ha a che fare una cosa con l’altra”? D) “Questo insegna che essa fu punita solo a causa della calunnia” E. “E non è un argomento a fortiori”? 33 F. “Se Miriam, che non ha parlato alla presenza di Mosè, ha sofferto così tanto, chi parla male del suo prossimo alla sua presenza, quanto dovrà soffrire di più”? G. R. Simeon b. Eleazar dice: “Anche a causa dell’arroganza è venuta la calamità,per fare così come noi troviamo riguardo ad Ozia” H. Ed egli si ribellò contro il Signore, suo Dio e venne al Tempio del Signore per offrire incenso sull’ altare e Azariah, il sacerdote venne da lui e con lui i sacerdoti del Signore, ottanta forti uomini, ed essi si fermarono davanti ad Ozia e gli dissero: «Non tocca a te, Ozia, offrire l'incenso, ma ai sacerdoti figli di Aronne che sono stati consacrati per farlo. Così esci dal santuario. Ed Ozia si adirò (2Cron. 26, 16) Il racconto del libro delle Cronache continua: Mentre sfogava la sua collera contro i sacerdoti, gli spuntò la lebbra sulla fronte davanti ai sacerdoti nel tempio presso l'altare dell'incenso. [20]Azaria sommo sacerdote, e tutti i sacerdoti si voltarono verso di lui, che apparve con la lebbra sulla fronte. Lo fecero uscire in fretta di lì; anch'egli si precipitò per uscire, poiché il Signore l'aveva colpito. [21]Il re Ozia rimase lebbroso fino al giorno della morte. Egli abitò in una casa di isolamento, come lebbroso, escluso dal tempio. Suo figlio Iotam dirigeva la reggia e governava il popolo del paese. Come abbiamo visto, dunque, la lebbra è collegata al peccato di calunnia e arroganza, perché questi stessi peccati hanno portato la lebbra a Miriam e a Ozia nella Scrittura. La seconda considerazione riguarda il titolo di “Signore”, dato a Gesù nel Vangelo di Marco, titolo che ci richiama alla cristologia del Vangelo, più che all’attenzione al fatto accaduto. Secondo la concezione giudaica, solo Dio stesso quindi può guarire la lebbra.34 Risanare un lebbroso equivale a risuscitare un morto. Il re d’Israele, quando il re degli Aramei gli chiede la guarigione per Naaman, risponde: “«Sono forse Dio per dare la morte o la vita, perché costui mi mandi un lebbroso da guarire? (2Re cap. 5,7). Secondo i rabbini, la guarigione di un lebbroso è “altrettanto difficile quanto la risurrezione di un morto”; secondo il rabbino Johanan, Eliseo ha compiuto due risurrezioni; infatti egli ha anche “guarito la lebbra. di Naaman, che equivale alla morte, come si legge in Num 12,12: “Possa essa (la lebbrosa Miriam) non essere uguale ai morti.35 La preghiera del lebbroso è richiesta di purificazione. Solo dopo il perdono di Dio, evidenziato dalla guarigione, può cominciare il processo di purificazione. A questa richiesta, seguono l’azione e la risposta di Gesù (v. 1,41). a) stesa la mano lo toccò Come già detto, Mussner definisce questo gesto, attraverso il quale Gesù vuole entrare in comunione con il lebbroso e ricondurlo così sotto la protezione di Dio, come altamente dimostrativo, ma anche con un senso “antirabbinico.36 In altri passi del Vangelo, troviamo guarigioni da malattie di tipo diverso operate da Gesù con gesti analoghi; ad esempio Gesù guarisce la suocera di Simone prendendola per mano (Mc 1,31); allo stesso modo risuscita la figlia di Giaro (Mc 5,41 e paralleli); guarisce il sordomuto ponendogli le dita negli orecchi e toccandogli la lingua con la saliva (Mc 8,23; Mt 9,29; 20,30); prende per mano il ragazzo epilettico, caduto come morto, e lo fa alzare (Mc 9,27). Inoltre molte persone toccano Gesù per ottenere la guarigione; così la donna emorroissa di Mc 5,27 e paralleli, così la folla stessa Mc 3,9-10 [9]Allora egli pregò i suoi discepoli che gli mettessero a disposizione una barca, a causa della folla, perché non lo schiacciassero. [10]Infatti ne aveva guariti molti, così che quanti avevano qualche male gli si gettavano addosso per toccarlo. Come sottolinea Kazen, 37 il gesto di Gesù dovrebbe essere visto come un gesto tipico delle storie di miracolo nella Bibbia ebraica; così per esempio la guarigione operata da Eliseo per contatto del corpo (2 Re 4,34) [34]Quindi salì, si distese sul ragazzo; pose la bocca sulla bocca di lui, gli occhi sugli occhi di lui, le mani nelle mani di lui e si curvò su di lui. Il corpo del bambino riprese calore. Può costituire una conferma a questa ipotesi la storia del lebbroso Naaman (2 Re 5,11), il quale si sdegna perché Eliseo non lo guarisce toccandolo con la mano. Come suggerisce Pesch, il distendere la mano è nell’AT gesto di Dio e di Mosè, quando compie prodigi, vale a dire di colui che è tipo di Gesù, profeta dell’ultimo tempo.38 Sia che si tratti di un gesto proprio di una certa forma letteraria, come i miracoli, sia che questo gesto abbia un più profondo significato teologico, cosa che non mi sembra escluda l’altra, comunque sia interpretare il gesto di Gesù come una voluta polemica contro il mondo ebraico del suo tempo, mi pare voler andare al di là di quanto il testo stesso dice. Rimane tuttavia singolare il fatto che il gesto di Gesù non compaia né nella tradizione di Lc 17,11-17, né nel papiro di Egerton 2, tradizioni che, come abbiamo visto, sono successive e dipendenti dal vangelo di Marco. . b. (Lo) voglio, sii mondato (katharistheti) Alcuni commentaori hanno interpretato anche questa frase, in senso anti-giudaico: Gesù, dichiarando lo stato di purità del lebbroso (katharistheti) manifesterebbe la sua intenzione di mettere da parte la Torah e di assumere le prerogative di sacerdote.39 Ma, con un senso totalmente opposto, Pesch ha visto il verbo katharistheti come strettamente collegato al comando successivo di tacere e all’ordine di andare dal sacerdote. Secondo Pesch, in questo modo, Gesù si ricollegherebbe chiaramente alle disposizioni di legge del Levitico, secondo cui solo il sacerdote può dichiarare puro il guarito. Al narratore interesserebbe soprattutto mostrare Gesù in accordo con la Legge, le cui disposizioni vengono fatte risalire a Mosè (Mc1,44 e paralleli).40 Conclusione Torno a un punto che mi pare importante approfondire in questa parte conclusiva: Gesù tocca il lebbroso. Nella prospettiva del vangelo di Marco, l’azione di Gesù sembra collegata non ad un’intenzione di violare la legge, ma ad una reazione profondamente umana “mosso a compassione”. Tuttavia rimane il problema della violazione della purità e soprattutto rimane la difficoltà di determinare il concetto di purità nell’Ebraismo e, particolarmente, al tempo in cui visse Gesù. Come afferma infatti Neusner,41 diversi sistemi giudaici o giudaismi, interpretano ognuno a suo modo le categorie dell’antica religione di Israele, così come sono ritratte nell’AT. Ogni concezione che costituisca una singola lettura dell’argomento è insostenibile.42 Cosi’, ad es., nel giudaismo degli esseni di Qumran, impurità costituisce una metafora per peccato, mentre in un altro giudaismo, quello fissato dalla Mishnah verso il 200 d.C., la concezione della purità funziona in una struttura completamente diversa. Cioè, se nel sistema di Qumran, (ma si può poi parlare di “sistema”?) l’impurità è metafora di malvagità e l’opposto di impurità è virtù, e così, uno che ha disobbedito alla regola è dichiarato impuro, per contrasto, nel sistema della Mishnah, l’antonimo, o opposto della impurità è la santità. Inoltre, virtù e santità costituiscono due classificazioni distinte, in quanto una ha a che fare con la moralità, l’altra con l’ontologia, cioè con l’essere stesso della persona, in questo caso l’uomo ebreo.43 Ma al tempo di Gesù, quale era la concezione prevalente? Booth nota che il tentativo di individuare lo stato delle leggi di purità tra il 30 e il 70 deve iniziare da alcuni dati, anche se limitati che possediamo:il codice sacerdotale di Lev 11-16; pochi testi sulla purità nel libro dell’Esodo e nel libro dei Numeri, i quali ci riportano a una legge sulla purità prevalente verso il 400 a.C. Accanto a questi, abbiamo nella Mishnah una quantità di regole sulla purità, aggiunte nelle epoche successive, che raggiunsero la loro formulazione scritta intorno al 200 d.C. Si deve perciò considerare che molte delle leggi della Mishnah ebbero valore in un periodo precedente alla messa per iscritto, ma non precisato, in quanto i rabbini che discutono le varie proposte non sono citati cronologicamente e rimane difficile determinare il passaggio dalla discussione almomento della normativa di legge. Tuttavia Booth ritiene che, sebbene la Torah e con essa le leggi di purità abbiano avuto una evoluzione, le regole precedenti non fossero abrogate, ma rimasero valide anche al tempo di Gesù.44 Con l’attenzione che deriva da queste riflessioni, mi rivolgo di nuovo a considerare l’agire di Gesù nella pericope di Marco. Mi fornisce una suggestione interessante Harrington, moderno commentatore del vangelo di Marco, ora tradotto anche in lingua italiana. Anche lui 45 vede Gesù che tocca il lebbroso in riferimento al profeta Eliseo di 2 Re 5,10-14, ma con una prospettiva diversa. Gesù, in contrasto con il profeta che non ha voluto toccare il malato, tocca il lebbroso “and so bridges the gap between the holy and the unclean”: “e così supera la separazione/distanza tra il santo e l’impuro.” Gesù riconduce il malato nella sfera della santità, ma la purità riguarda i sacerdoti: ecco perché manda il lebbroso da loro per la purificazione. Lo studioso ebreo Vermes, in uno dei libri della sua trilogia: La religione di Gesù l’ebreo, tradotto in italiano ancora nel 1992, osserva come Gesù ordini al lebbroso di presentarsi davanti al sacerdote per l’esame e, una volta dichiarato da lui “puro”, di compiere i riti sacrificali prescritti nel Levitico (Lev 14,1-7). A parere di Vermes, il quadro che emerge dalla pericope di Marco, riflette la situazione ritratta in uno dei Rotoli del Mar Morto, dove viene posto un accento speciale sul monopolio sacerdotale del trattamento della lebbra.46 CD 13,5-6: “Ma se in qualcuno si presenta (il caso) di un giudizio riguardante la legge della lebbra, verrà il sacerdote….è a lui che spetta isolarlo…a loro spetta la sentenza”47 Dunque non c’è in Gesù la volontà di violare la Torah, né le leggi di purità. Tuttavia, come dice Mussner, egli compie un gesto altamente dimostrativo (aggiungo: autoreferenziale). Toccando il lebbroso con la mano, Gesù lo riporta nella sfera della santità, ma non lo fa in senso antirabbinico, ma secondo la concezione propria del pensiero ebraico, per la quale solo Dio può guarire il lebbroso. Lo fa dunque non come una persona solo umana, ma come una Persona che, nella fede e nella teologia espressa dai Vangeli, è Dio e Uomo, e quindi ha il potere di riportare l’impurità alla santità, pur nel rispetto della Torah.. Nella fede di Matteo e di Luca, Gesù è il “il Signore”, così come proclama l’inizio del vangelo di Marco: 1,1 Inizio del Vangelo di Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio. Note 1. Vledder, E.J., Conflict in the Miracles Stories. A Socio-Exegetical Study of Matthew 8 and 9, JSNT.S 152, Sheffield 1997, p. 11. 2. B. Kollmann, Storie di Miracoli nel Nuovo Testamento, ed. Queriniana, Brescia 2005, 5. 3. Kollmann, pp.18-19. 4. Vledder, pp. 16-21. Vedi anche Kee, H.C., Miracles in the Early Christian World: A Study in Socio-historical Method, New Haven: Yale University Press, 1983. 5. Vledder, p. 28 6. F. Mussner, Gesù e i miracoli. Problemi preliminari, Giornale di Teologia 38, ed. Queriniana, Brescia 1969, pp. 35-36. 7. Mussner, p. 36. 8. Mussner, p. 38. 9. Mussner, p. 40 cita Ned. 64 [11 6a]: “Quattro categorie di persone equiparate a un morto: il povero, il lebbroso, il cieco e il senza figli”. 10. Mussner, p. 42. 11. Mussner, p. 37 12. Harrington, The Gospel of Mark, Collegeville (Minnesota), 1992, p. 89. 13. Mussner, pp. 37-38. Vedi anche Kazen, p. 101. 14. S. Grasso, ‘Il ciclo dei miracoli (Mt 8-9): spettro dei problemi comunitari’, RB 54 (2006),pp. 159-163. 15. ‘Il ciclo dei miracoli (Mt 8-9)’, 163 dove Santi Grasso considera gli altri due testi di Matteo dove troviamo la stessa espressione: all’interno del discorso missionario, dove si dice che i missionari dovranno rendere testimonianza di fronte ai giudei e ai pagani (10,18) e nel contesto del discorso apocalittico (24,14). 16. Grasso, S., ‘Il ciclo dei miracoli (Mt 8-9)’, p. 163. 17. Ibidem. 18. Ibidem. 19. Vedi Mussner, p. 34. 20. Meier, J., Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico, 1, BTC 117, p. 18. 21. Un ebreo marginale, I, pp. 843-844. 22. ‘Understanding biblical healing: selecting the appropriate model’, BTB 18/2 (1988), p. 61. 23. Meier, Un ebreo marginale, I, 841-843 dove Meier discute la questione del numero limitato dei racconti (tra l’altro, egli ritiene Lc 17: 11-19 come tradizione indipendente da Marco) e quella che attribuisce alla teologia cristiana primitiva il ritratto di Gesù come operatore di miracoli. 24. Kazen, K. Th., Jesus and the Purity Halakhah: was Jesus indifferent to impurity?, Coniectanea Biblica, New Testament Series 038, Stockolm 2002, pp. 98-99. 25. H.H. Harrington, The Purity Texts. Companion to the Qumran Scrolls,5. London-New York 2005, p. 86. 26. Harrington, p. 88. 27. Jesus and the Purity Halakhah: was Jesus indifferent to impurity?, p. 118. 28. Bell, H.Idris and Skeat, T.C., Fragments of an Unknown Gospel and other Early Christian Papyri, London 1935. 29. Kazen, pp. 121-122. Vedi anche lo studio di F. Neyrinck, ‘Papyrus Egerton 2 and the Healing of the Leper’, ETL 51 (1985), pp. 153-166. 30. Kazen, p. 110. 31. Kazen, p. 116. 32. García Martínez, F., Testi di Qumran. Biblica.Testi e Studi 004, Brescia 1996, p. 174. Kazen, p. 110. 33. J. Neusner, Purity in Rabbinic Judaism. A Systematic Account, , SFSHJ 95, Atlanta, Georgia, 1994, p. 221. 34. L’argomento a fortiori è una delle regole ermeneutiche seguite dai rabbini: ciò che si può applicare per un caso meno importante, si può applicare in un caso maggiore. 35. Harrington, The Purity Texts, p. 92; Pesch, p. 242. 36. Pesch, p. 242. 37. Mussner, I miracoli di Gesù, p. 42. 38. Jesus and the Purity Halakhah, p. 105. 39. Pesch, p. 244. 40. Vedi C.H. Cave, ‘The Leper: Mark 1:40-45’, NTS 25 (1978/79), p. 246. 41. Pesch, p. 246. 42. Judaic Law from Jesus to Mishnah. A Systematic Reply to Professor E.P. Sanders, SFSHS 84, Atlanta, Georgia, p. 205. 43. Neusner, p. 207. 44. Neusner, p. 207. 45. Jesus and the Laws of Purity, p. 145. 46. John R. Donadhue - D.R. Harrington, The Gospel of Mark , Collegeville (Minnesota), 2002, p. 89 nota 41. 47. G. Vermes, La religione di Gesù l’ebreo, Assisi 2002, p. 39 48. Vermes, p. 40. |
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