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Le celebrazioni ebraiche d’autunno: Rosh Hashanah, Kippur e Sukkot. Suono, preghiera, ritorno a D-o

 

09/11/2006: Spizzichino, Lilli

 

Buongiorno a tutti. Come sapete quest'oggi parleremo di 3 importanti feste ebraiche: Rosh Ha Shanà, Kippur e Sukkot, ricorrenze che noi celebriamo nel mese di Tishrì, primo mese dell'anno ebraico. Ora prima di incamminarci verso questo discorso vorrei raccontarvi qualcosa in linea generale sulle feste ebraiche le quali presentano usando un linguaggio un po' figurato differenti toni di colore: la maggior parte sono gioiose, alcune sono austere e altre implicano giorni di digiuno e di espiazione. Ecco, brevemente, vorrei fornirvi 4 chiavi di lettura o osservazioni che riguardano in generale tutte le feste ebraiche affinchè voi comprendiate meglio da dove derivano queste solennità e come si inseriscono nel calendario ebraico. Innanzitutto e questa è la prima osservazione, le varie festività fondano la loro origine da motivi differenti tra di loro: alcune ricorrenze quali per esempio le feste definite di pellegrinaggio, sono inserite nella Torà con l'obbligo per noi di celebrarle (Pasqua, Pentecoste, Capanne) e derivano da comandamenti divini che secondo la tradizione furono trasmessi tramite Mosè agli ebrei nel deserto. Ma queste feste sono anche collegate ad eventi storici da una parte e dall'altra associate a cicli della vita agricola. Questo perché il popolo d'Israele prima dei due esili, quello babilonese del 586 a.c, e quello del 70 D.C era una nazione prevalentemente composta da pastori ma soprattutto da contadini e alcune feste quali quelle citate prima erano collegate al periodo della mietitura e del raccolto dei prodotti. Altre ricorrenze sono esclusivamente collegate ad eventi storici, per esempio la festa di Chanukkà e di purim menzionate come feste minori. Altre ancora sono state introdotte di recente come giornate di commemorazione, Yom Azmaut, Yom HaShoah, Yom Yerushalaim. Ed infine abbiamo le solennità definite austere che vedremo oggi il cui obbligo di celebrarle ci viene ricordato dalla Torah ed anche esse per un certo verso sono collegate ad avvenimenti definamoli storici per adesso ma poi vi spiegherò meglio.

Passiamo ora alla seconda considerazione che riguarda invece il calendario ebraico basato sul sistema solare-lunare. Senza entrare nei particolari alquanto complicati vi basta sapere che le festività, i giorni, i mesi e gli anni ebraici sono computati in base al tempo impiegato dalla luna per completare la sua rivoluzione intorno alla terra, mentre le stagioni sono fissate in base al tempo impiegato dalla terra per completare la sua orbita intorno al sole. L'anno dovrebbe cominciare nel mese di Nissan ( marzo- aprile), periodo durante il quale si celebra la festa di Pasqua che segna la nascita della nazione ebraica. In Es. 12,2 la Torah raccomanda di contare i mesi a partire proprio da Nissan, definito come primo mese durante il quale avvenne la liberazione degli ebrei dalla schiavitù egiziana. Ma già la Mishnà, la Torah orale redatta ne II sec. accenna l'esistenza di 4 capodanni tra cui quello del 1° di Tishrì, giorno in cui si celebra Rosh Ha-Shanà. Cosa significa allora tutto questo? Quando inizia il nuovo anno nel mese di Nissan o nel mese di Tishrì? Bene, la risposta è che l'anno religioso ha inizio nel mese di Nissan, mentre l'anno civile inizia però in autunno il l° di Tishrì , il giorno di Rosh ha Shanà proprio per far si che determinate feste si colleghino alle stagioni e al lavoro dei campi. Per quanto riguarda i termini usati per indicare i nomi dei mesi, questi in origine erano semplicemente designati con numeri e così sono indicati dalla Torah ( nel settimo mese..., sarà per voi il primo dei mesi dell'anno...) I nomi attualmente in uso Tishrì, Chesvan o Marchesvan, Tamuz, di origine babilonese e sono stati adottati dagli ebrei dopo il ritorno dall'esilio e riprendono i nomi di alcune divinità assiro-babilonesi.

Terza e ultima osservazione, le feste ebraiche hanno inizio (tranne per Yom Kippur) sempre la sera e questa è definita la vigilia della festa. Ciò trova origine dal fatto che nella Torah in Gn 1 è scritto:" E fu sera e fu mattina...". E adesso dopo avervi fornito alcune indicazioni che riguardano in generale le feste ebraiche immergiamoci nell'atmosfera di Rosh ha-shanà e kippur facendo però anche molta attenzione al tipo di percorso spirituale che ogni ebreo dovrebbe affrontare prima di giungere a celebrare queste due grandi solennità. Feste considerate occasioni nelle quali gli ebrei sono obbligati da D-o ad interrogarsi sul loro comportamento, a fare un bilancio dell'anno trascorso e a pentirsi sinceramente delle azioni negative compiute modificando così la propria condotta. Ora questo percorso precedente alla celebrazione di Rosh ha¬shanà e Kippur ha inizio con il mese di Elul ed il suo avvio è scandito dal suono dello shofar di rosh kodesh Elul, il capo mese di Elul. Allora, cerchiamo di vedere e capire le caratteristiche di questo mese che ha lo scopo di operare delle modifiche nel nostro comportamento e a rafforzare azioni buone.

Il mese di Elul
E' scritto nel Cantico dei Cantici cap.6,3:" Io sono per il mio amato ed il mio amato è per me." Non so se voi sapete ma il Cantico dei Cantici descrive l'amore tra due pastorelli ma in realtà il Cantico attribuito a Re Salomone è un testo allegorico dove l'autore descrive l'amore del pastore, D-o verso la pastorella, Israele. I nostri maestri riprendendo questo passo del Cantico hanno voluto sintetizzare con questa frase il rapporto speciale tra D-o ed Israele che si instaura soprattutto nel mese di Elul. L'ebreo in questo periodo è come se cercasse il Signore e il Signore è disposto a farsi trovare, anzi è disposto ad accorciare le distanze per favorire il completo ritorno dell'ebreo all'osservanza dei precetti della Torah. Secondo la tradizione mistica Elul è il mese in cui "il Re è nel campo". Ciò vuol dire che in questo periodo viene dato in senso figurato al popolo d'Israele questa occasione di vedere il Re, che tradotto vuol dire che D¬o si pone maggiormente accanto agli uomini facendo sentire se così si può dire la Sua voce affmche essi ritornino a Lui praticando i Suoi comandamenti. D-o scende nei campi per andare a cercare ogni ebreo e riportarlo sulla strada della rettitudine e della giustizia.

Il mese di Elul è dunque predisposto per dare inizio alla Teshuvà, al ritorno al Signore che culminerà nel giorno di Kippur, giorno del pentimento. Ma D-o desidera che la teshuvà abbia inizio modificando per prima cosa in senso positivo i rapporti tra l'uomo e il suo simile e così Elul diviene il mese caratterizzato dalla solidarietà, approntato per l'armonia sociale e per la solidarietà nei confronti di chi ha bisogno del nostro aiuto materiale e psicologico. Solo attraverso la riconciliazione con il nostro simile sancita dal mese di Elul potremo poi aspirare nel giorno di kippur a pacificarci con D-o e afar si che Lui ci perdoni i peccati commessi però solo nei Suoi confronti. Dunque noi ebrei non dobbiamo cominciare la nostra Teshuvà a Kippur, ma già dal mese di Elul, praticando la zedakà, cioè atti di giustizia e di aiuto nei confronti degli altri uomini la tefillà, la preghiera. La parola ebraica tefillà viene dalla stessa radice del verbo pallel che vuol dire giudicare. E noi usiamo il verbo nella sua forma riflessiva lehithpallel, così esprimiamo contemporaneamente il pregare e il giudicare sé stessi. Sicchè il tempo della peghiera è anche quello della autocritica, della valutazione di noi stessi per capire se la nostra condotta somiglia al modello al quale D-o prescrive di attenersi quotidianamente. E' scritto in Osea14, 2-3:" Torna Israele fino al Signore dopo che hai inciampato nella tua colpa. Prendete con voi delle cose e tornate al Signore" I nostri maestri spigano questo versetto dicendo che prendere delle cose significa acquistare dei meriti, presentarsi a D-o con gli elementi capaci di modificare radicalmente il corso del Suo giudizio. Questi meriti sono: la Teshuvà„ la tefillà e la zedakà che secondo la tradizione possono modificare il decreto severo di D-o nei confronti di un uomo, addirittura annullare un decreto di morte.

Dunque il mese di Elul è il periodo più propizio per invocare il perdono del nostro prossimo se abbiamo agito negativamente nei sui confronti, compiamo nei confronti di chi abbiamo offeso seppur involontariamente atti di zedakà, atti di giustizia perché D-o richiede questo a noi. Non ci può essere nessun perdono divino, il quale è vincolato a quello umano se non facciamo il possibile per ottimizzare i nostri rapporti con il nostro simile. Posso dire che i 30 giorni di Elul somigliano usando un paragone ad una scadenza imposta dal tribunale: si intima al debitore un termine (kippur) per reperire la somma necessaria all'estinzione del credito; solo in questa maniera il processo sarà concluso senza condanne. Ciò vuol dire che in questo mese D-o ci comincia a sollecitare a modificare il nostro comportamento tenuto nel corso dell'anno tanto che se in questo mese la nostra condotta si è trasformata soprattutto come dicevo prima nel rapporto con il nostro simile e chiaramente anche nei confronti di D-o, allora il Signore dicono i nostri rabbini considera il nostro modo di fare dei 12 mesi precedenti perfetto. In pratica le azioni che noi compiamo ad Elul possono riscattare i nostri gesti, i nostri atti negativi dell'anno che si sta concludendo.

Vi accennavo prima che l'avvio del mese di Elul è segnalato dal suono dello shofar del giorno di Rosh chodesh, capo mese in tutte le sinagoghe. L'origine di questo rito è connesso ad una tradizione molto antica collegata a Mosè e al peccato del vitello d'oro. Uno dei nostri più grandi commentatori della Torah Rashì spiega che Mosè spezzò le tavole il 17 di tamuz, il 18 Mosè bruciò il vitello e giudicò i colpevoli, il 19 salì di nuovo sul monte Sinai e lì stette 40 giorni pregando , facendo digiuno, chiedendo misericordia per il popolo. Poi ridiscese Ed il 1° di Elul gli fu detto di risalire per ricevere le seconde tavole. Quel giorno era Rosh Codesh Elul e quel giorno si suonò lo shofar in tutto l'accampamento affinchè il popolo potesse ravvedersi (Es.24,12) ed è per questo che tale giorno rappresenta l'inizio del periodo penitenziale. Mosè ridiscese dal monte Sinai il 10 di Tishrì con le seconde tavole segno tangibile del perdono concesso da D-o al popolo d'Israele. E il 10 di tishrì è il giorno in cui noi celebriamo Kippur, tempo di espiazione dei peccati commessi nei riguardi di D-o e di speranza che Lui ci perdoni.

Dunque come vi accennavo all'inizio del mio discorso la ricorrenza di kippur ha per così dire la sua origine da un evento definiamolo storico. Comunque ritornando al suono dello shofar di Rosh chodesh Elul in particolare ma in generale poi mi riferisco al suono che avviene anche in altre occasioni, dicono i nostri maestri che esso è simile al pianto di un bambino perché ha le caratteristiche di risvegliare sentimenti profondi e di portare la persona a riflettere sulla sua condizione. Nel libro di Amos 3,6 è infatti scritto:"Se uno shofar suona nella città può non tremare un popolo?" E secondo Maimonide il suono è come se proclamasse:" Svegliatevi dal vostro sonno voi che dormite, esaminate le vostre azioni e fate penitenza." Data l'importanza del suono dello shofar di risvegliare le coscienze i nostri rabbini hanno stabilito che ogni giorno del mese di Elul si suoni lo shofar per invitare gli ebrei al pentimento che troverà il suo apice nel giorno di kippur. Mentre nelle comunità ebraiche italiane si suona lo shofar fino a tre giorni precedenti Rosh ha shanà, quelle sefardite proseguono fino alla vigilia della festa. Alla vigilia non si suona più per distinguere i suoni di Elul originariamente solo un usanza da quelli di Rosh ha-shanà prescritti dalla Torah. Inoltre dal capo mese di Elul fino a kippur gli ebrei usano alzarsi di notte e recarsi in sinagoga per recitare le selichot (scuse-perdono), o suppliche.

L'origine di queste preghiere si ricollega al comportamento del popolo d'Israele oppresso dal rimorso di gravi peccati. Gli ebrei allora venivano indotti dai profeti, ma troviamo il termine di selichà anche con Mosè a chiedere perdono a D-o non solo con il digiuno, ma pregando e confessando le proprie colpe . Con il passare del tempo si sono formate preghiere speciali soprattutto nei dieci giorni che intercorrono tra Rosh ha-shanà e Kippur ma anche nel mese di rosh chodesh Elul. Queste suppliche a D-o si usa farle di notte perché secondo l'allegoria di cui vi ho detto prima, Israele e D-o sono due fidanzati che non vogliono farsi vedere da occhi indiscreti e quindi si incontrano di notte per rivelarsi il loro amore attraverso frasi bellissime. Nelle selichot ogni ebreo si trova di fronte a D-o chiedendo di perdonarlo e di iscriverlo nel libro della vita a Kippur non tanto per i suoi meriti quanto per il ricordo dei meriti dei Patriarchi. Concluso questo mese chiamiamolo di preparazione spirituale si giunge a Rosh-ha shanà. Leggiamo cosa è scritto nella Torah, Lv.23,24-25 a proposito di questa festa:" E l'eterno parlò ancora a Mosè dicendo:" Parla a i figli d'Israele e dì loro: nel settimo mese, il primo del mese sarà per voi giorno di cessazione dal lavoro, ricordo del suono, festa solenne. Non farete alcuna opera ed offrirete sacrifici al Signore da ardere."

Come vi dicevo prima la Torah non menziona affatto Rosh Hashanah, il 1° di tishrì come capodanno. E' solo nel Talmud che il 1° di tishrì prende il nome di capodanno e diviene l'anniversario della creazione del mondo e secondo alcuni rabbini anche l'anniversario della creazione dell'uomo. Diciamo che Rosh Hashanah è la festa del Regno: e come i re antichi erano accolti dopo le loro eroiche gesta a suon di tromba e festanti in quanto si riconosceva la loro potenza e soprattutto con il suono dello shofar (2 Sam.15,10-1 re 1,34-2 re 9,13) così D-o che è il Re del creato è celebrato nella Sua dignità di sommo imperatore di tutti gli esseri tanto che l'attributo di Re è molto frequente nella liturgia dei giorni di Rosh Hashanah. appunto perché appunto si celebra la suprema signoria di D-o ( Preghiera del mattino di Capodanno pag.57).

Ma voglio in questo contesto ricordare che un giorno destinato a commemorare la creazione del mondo rappresenta un giorno solenne per tutti gli uomini; è un ricorrenza universale, perché il mondo non è stato creato solo per gli ebrei, ma per tutte le creature di D-o. Quindi l'importanza di queste giornate trascende l'interesse ebraico per estendersi a tutta l'umantà. In questo giorno l'intera umanità è davanti al trono di D-o per essere esaminata in base alle azioni che ogni essere ha compiuto, non ha caso questo giorno è ricordato anche come Yom adir. giorno del giudizio. Ma attenzione con queste parole non voglio dire che l'uomo deve pentirsi una volta l'anno. Tutt'altro colui che osserva i precetti cerca di migliorare sé stesso sempre, ogni giorno. Ma Rosh Hashanah. è un giorno speciale in cui il popolo ebraico si raccoglie per un bilancio dell'anno trascorso, cerca di pentirsi sinceramente sia per i propri singoli errori sia per le colpe della collettività. Il valore collettivo della ricorrenza è molto importante e deriva dal fatto che D-o nello stesso giorno che ha creato il mondo giudica anche il Suo mondo.

Ora in questa giornata che ricorda la creazione del mondo e la giustizia di D-o un momento speciale è rappresentato dal suono dello shofar che infonde timore e tocca il nostro cuore suscitando nelle persone pentimento, implorazione e sottomissione al giudizio del Signore. Il suono di questo corno ci ricorda la legatura di Isacco e dunque il patto irreversibile tra D-o e Israele, ci ricorda la donazione della Torah (e così in modo analogo lo shofar che sentiamo a Rosh Hashanah dovrebbe rammentarci la totale accettazione della Torah e 1' osservanza dei precetti in essa contenuti), così lo shofar era uso suonarlo quando si era in guerra contro un nemico pericoloso (allo stesso modo lo shofar di Rosh Hashanah. dovrebbe servirci a muovere guerra contro i nemici interiori, le cattive inclinazioni) Ma il corno era suonato anche per annunciare il giubileo che si proclamava il giorno di kippur con la liberazione degli schiavi e il ritorno alla propria terra e alla propria famiglia (ancora analogalmente lo shofar di Rosh Hashanah dovrebbe essere il segnale di una nuova vita, con un cuore puro rivolto al servizio di D-o e del prossimo). L'importanza del suono dello shofar ci è indicato dalla Torah stessa che denomina la festa che doveva essere celebrata il settimo mese (appunto Rosh Hashanah) con il nome di Yom Teruà, giorno del suono (Lv.23,23-25), si. Comunque la tradizione gli attribuisce altri significati: il simbolo del Messia, il segnale della resurrezione e della redenzione finale d'Israele e delle genti (Is 18,3).

Ma il suono dello shofar ha anche un altro significato riportato nel midrash Levitico Rabbah 29,3: il suo suono è il segnale per D-o che è giunto il momento di abbandonare il trono della giustizia, il trono su cui siede come Elohim (giudice) e sedersi su quello della misericordia per giudicarci con clemenza con il nome di Adonai. E noi nella preghiera Avinu Malkenu ci rivolgiamo a Lui prima come Padre e poi come Re affinchè possa giudicarci benevolmente come un padre fa con il figlio: "Nostro Padre, nostro Re, annulla nella Tua grande misericordia tutte le sentenze per i nostri trascorsi. Nostro Padre, nostro Re abbiamo peccato contro di Te, abbi pietà di noi." Un altro nome per ricordare questa festa è Yom Azikkaron, giorno del ricordo, giorno in cui il Signore si ricorda dell'uomo. Questo aspetto è sottolineato dalla lettura in sinagoga di alcuni passi biblici i due giorni della festa: nel primo si narra la nascita di Isacco, e quella di Samuele per indicare che D-o si è ricordato di Sara e di Hanna, nel secondo si narra della legatura di Isacco e di Rachele che piange i suoi figli (Ger 31,14-15).

La mattina di Rosh Hashanah è caratterizzata all'interno della sinagoga da 101 suonate del tekia, colui che suona lo shofar. Una tradizione spiega che le tre note distinte dello strumento sono in onore dei tre Patriarchi, Abramo, Isacco, Giacobbe e che le tre note distinte delle suonate cominciano e terminano con una nota piena Tekkyah che è inserita in quelle spezzate. Queste note rappresentano il tema centrale di Rosh Hashanah.: eravamo perfetti, siamo stati spezzati, ridiventeremo perfetti. Al suono dello shofar dicono i nostri maestri, gli uomini e le loro azioni passano davanti a D-o per essere esaminati come il pastore conta e giudica le sue pecore. Davanti a sé il Signore tiene aperti tre libri: il libro della vita, il libro della morte e il libro dei giudizi sospesi. D-o giudica a Rosh Hashanah. ma a Kippur appone il Suo verdetto. A questo punto qualcuno potrebbe pensare che il capodanno non presenta momenti gioiosi, momenti di allegria, ma è solo una ricorrenza durante la quale trascorriamo il tempo a pregare, a pentirci, a riflettere su noi stessi. Questo non è vero. Uno dei momenti tipicamente lieti di Rosh Hashanah. si celebra la sera della vigilia. Quando tutte le famiglie, parenti e amici sono riuniti a tavola per la cena. Subito dopo la consacrazione della festa con il vino e la benedizione del pane si intinge la mela nel miele e poi si assaggiano i cosidetti bocconcini simbolici: fichi, datteri, zucca, bietole, porri, melograni e pesce. Su ognuno di questi il capofamiglia recita: Iehì razzon, una formula di buon augurio nella quale si dice:" Sia la volontà del Signore che l'anno nuovo possa essere dolce come il fico, oppure sia la volontà del Signore che i nostri meriti possano moltiplicarsi come i chicchi del melograno.

Dunque per concludere questo discorso su Rosh Hashanah e così parlarvi brevemente anche di Yom Kippur, se dovessi riassumere gli elementi della festa potrei dire che sono: le preghiere penitenziali, il clamore dello shofar, il giudizio davanti al tribunale di D-o, la fervida speranza di una umanità riunita nella sovranità dell'unico D-o. Dunque Rosh Hashanah. potrebbe essere definita forse con un solo appellativo festa dell'avvenire. Infatti essa ha significati che vanno al di là, come vi dicevo prima dell'ambito specificatamente ebraico e troverà la sua piena espressione solo nel tempo in cui sarà celebrata da tutti gli uomini che attueranno in terra l'unità del Creatore. Conclusa Rosh Hashanah, i 10 dieci giorni che vanno dal 1° Tishrì al 10 di Tishrì sono chiamati Aseret Yemè Teshuvà, i dieci giorni del ritorno per coloro he non sono né giusti, ma né malvagi, in pratica questi giorni sono riservati per coloro che ancora non si sono pentiti e sono per così dire iscritti da D-o ancora nel libro dei giudizi sospesi. L'ultimo di questi giorni, il decimo è Yom Kippur, il giorno dell'espiazione.

Il brano dove è comandata la celebrazione della festa è Lv 16, 29. Con Kippur abbiamo il culmine del processo di pentimento e durante questo giorno gli ebrei pregano, digiunano e chiedono perdono a D-o dei peccati che hanno commesso nei Suoi confronti. In questa santissima giornata di riflessione e di bilanci noi ci stacchiamo completamente da ciò che è materia, è come se l'anima si separasse completamente dal corpo per innalzarsi come dicono i nostri rabbini e rendersi simile ai Melakim, agli angeli (Lett. Ebr. vita quot. P.89). Nel giorno di kippur è come se non avessimo più sesso; infatti uno dei 5 divieti di questa giornata è avere rapporti sessuali con il proprio coniuge. Oltre a questa interdizione non possiamo mangiare e bere, lavarci, calzare scarpe di cuoio. L'unico intento per noi deve consistere nell'elevare l'anima fmo a congiungerla con la sua fonte divina. Ma per unirsi a D-o però è necessario il pentimento, essere ritornati a Lui. La vera Teshuvà esige il rammarico per ciò che si è compiuto nel passato, la confessione collettiva dei peccati che adesso vedremo e la risoluzione di non cadere più nello stesso errore in avvenire. Usando un paragone è come quando un figlio litiga con il proprio padre. La prima cosa che il figlio dovrebbe fare per riconciliarsi è pentirsi del comportamento sbagliato e sentirsi amareggiato per il dispiacere causato. Poi il figlio dovrebbe decidere di riparare al peccato confessando al padre le proprie colpe ed esprimendo il proprio dolore ed infine decidere di mutare il proprio comportamento per non far più dispiacere al padre. Lo stesso accade con il nostro Padre che sta nel cielo: basta il sincero ritorno a Lui per ottenere il Suo perdono. Un midrash racconta che venne chiesto alla saggezza quale fosse la punizione per il peccatore e lei rispose: "il male perseguiterà il peccatore". Domandarono alla profezia e lei rispose 'chi pecca morirà'. Poi la stessa domanda fu rivolta alla Torah ed essa rispose che se il peccatore avesse offerto un sacrificio si sarebbe salvato. Ma quando la domanda fu posta a D-o, Egli rispose che colui che si fosse pentito si sarebbe salvato. Perciò è scritto nel salmo 25,8: "Buono e giusto è D-o, per questo indica ai peccatori la retta via.?

Chiaramente non bastano le buone intenzioni per tornare a D-o, e ottenere il Suo perdono. Bisogna dimostrare praticamente che le nostre intenzioni sono sincere e buone perché è scritto nel Talmud, nel trattato di Taanit che colui che fa penitenza senza rinunciare ai suoi peccati assomiglia ad un uomo che si purifica tenendo in mano un rettile immondo: egli può immergersi in tutte le acque dell'universo ma la sua purificazione non gli servirà a nulla" Dunque proprio per rendere diciamo vera questa conversione di cuore il giorno di Kippur è caratterizzato da tre momenti particolari: 1°) Chesbon a nefesh, l'esame di coscienza. 2°) Viddui, confessione delle colpe. 3°) Kapparà Uslikà, espiazione e perdono. Infatti l'esame di coscienza se fatto onestamente porta alla confessione delle colpe e la confessione conduce al perdono e alla misericordia. Antecedente a questi tre momenti, la sera della vigilia si recita il Kol Nidrè. Si tratta di una formula che annulla i voti fatti durante l'anno. Ciò vale solo per gli impegni assunti nei confronti di D-o e non verso il nostro prossimo con il quale avemmo dovuto risolvere i nostri conflitti in precedenza. E veniamo ad uno dei momenti più sacri e solenni di Kippur, il viddui, la confessione dei peccati.

L'idea della confessione nella tradizione ebraica è unica nel suo genere e non trova riscontro in nessun altra religione. Si tratta di una confessione e allo stesso tempo di una invocazione. Il modo particolare e completo in cui è redatto l'elenco dei peccati, che adesso vi leggerò, suggerisce l'idea che la persona che legge questa preghiera abbia violato tutti i precetti della Legge. Ma in realtà la situazione è diversa. La confessione di tutti i peccati fatta dai giusti e dai peccatori è un riconoscimento dei peccati fatti da tutta la collettività. Dice un midrash che il popolo d'Israele è paragonato al corpo umano. Quando si è colpiti in una parte del corpo tutto l'organismo ne risente le conseguenze. Tutto ciò ci insegna che noi dobbiamo sempre di più sviluppare il senso di responsabilità non solo verso noi stessi ma anche verso gli altri ebrei. Ogni nostra azione infatti può avere conseguenze incalcolabili nel mondo che ci circonda, così le azioni del nostro prossimo possono avere diretta influenza sulla nostra vita personale. La confessione segue l'ordine dell'alfabeto ebraico perché secondo la tradizione mistica D-o ha creato il mondo con le lettere sacre e i nostri peccati hanno danneggiato l'universo. Esprimendo il nostro pentimento attraverso ciascuna delle lettere cerchiamo di riparare il danno causato dalle nostre trasgressioni.

Siamo giunti alla conclusione del giorno di kippur e anche della mia relazione su queste due grandi solennità. A sera nella sinagoga gran parte della comunità riunita innalza il grido per 7 volte A. U. E. Ma cosa significa A. U. E? Bene E. significa D-o, è il nome con il quale il D-o d'Israele si presenta agli altri popoli, questo nome indica uno degli attributi di D-o la Sua Middat adir, misura della giustizia. Ma quando D-o sente il grido di dolore dei figli d'Israele è scritto in Es 6,2 ecco che usa un altro nome: A. Ed è scritto in questo versetto: "Il mio nome è A., non l'ho fatto conoscere a tutti i popoli ma solo ad Israele". Questo a significare, dicono i nostri maestri, che è come se il Signore non avesse voluto far conoscere a tutti questo nome che indica poi l'altro Suo attributo, la middat arachamim, per tenerlo in serbo per quello che sarà definito il Suo bekor, il Suo primogenito Israele. Quindi il Signore ha due nomi e nella preghiera conclusiva del giorno di Kippur lo in vochiamo con questi due nomi prima con il termine A. e poi con quello di E. affinché prima di essere giudice delle nostre azioni sia misericordioso come un padre verso i propri figli e ci perdoni i peccati che abbiamo commesso.

La festa di Kippur si conclude con una nota prolungata dello shofar che simboleggia appunto il perdono di D-o e attraverso il quale gli ebrei sperano di vivere il nuovo anno iscritti nel libro della vita. E adesso parliamo dell'ultima festa Succot che è considerata una festa di pellegrinaggio presentandola come sempre attraverso un versetto della Torah, anzi in questo caso due. E' scritto in Lv. 23, 40-43:"E voi prenderete il primo giorno un frutto di bell'aspetto, rami di palme e rami dell'albero della mortella e rami di salice e vi rallegrerete davanti al Signore per sette giorni.... Nelle capanne risiederete per sette giorni; ogni cittadino in Israele risieda nelle capanne affinché sappiano le vostre generazioni che in capanne ho fatto stare i figli d'Israele quando Li ho tratti dalla terra d'Egitto; Io sono il vostro D-o." In Dt. 16,13-14 si legge; "Per sette giorni farai la festa delle Capanne allorquando raccoglierai il prodotto che è sulla tua aia e nel tuo tino e ti rallegrerai nella tua festa tu , tuo figlio e tua figlia, il tuo schiavo e la tua schiava, il levita ed il forestiero, l'orfano e la vedova che si trovano nella tua città". Allora cominciamo a dire che la festa di Succot delle capanne o Tabernacoli è l'ultima delle Shalosh regalim, feste di pellegrinaggio. Essa ha inizio il 15 di Tishrì appena 5 giorni dopo la serietà e lo sforzo di introspezione richiesto dal giorno dell'Espiazione e dura 7 giorni in Israele ed 8 in Diaspora.

Il principale precetto per gli Ebrei è quello di risiedere in una capanna che deve avere certe dimensioni, essere situata sotto il cielo aperto e soprattutto avere il cielo coperto di frasche in modo che vi sia più ombra che luce e che dall'interno si possano intravedere le stelle. .. Come deve essere la sukkà? Deve essere abbastanza ampia perché ci si possa vivere comodamente ma non deve assumere l'aspetto di una abitazione permanente. Le pareti possono essere costituite da tende da stoffe pitturate ma il tetto, la sehahè oggetto di rigide norme per la sua costruzione. Deve essere fatto con rami di alberi, arbusti e foglie che non si secchino presto e che lascino passare la pioggia ma se piove molto bisogna lasciare la sukkà che diverrebbe veramente eccessivamente non confortevole. Anticamente nella sukkà si mangiava e si dormiva. Oggigiorno non vi si soggiorna più ma vi si consuma il pasto almeno della prima sera della festa e poi all'interno bisognerebbe Dunque il primo significato della festa di Sukkot è di sottolineare la precarietà di questo mondo e della nostra vita. Infatti il mondo in cui viviamo è una capanna provvisoria e instabile senza la protezione di D-o.

Vi è un secondo significato collegato all'obbligo di risiedere in queste povere dimore che si esprime attraverso il fatto che noi ci rendiamo conto, abitando per 8 giorni in queste fragili abitazioni, della scarsa importanza dei beni materiali. Infatti la Sukkà sarebbe un grande dono fatto da D-o al popolo d'Israele perché possa rendersi conto che la vita materiale è effimera e instabile, che i suoi desideri e le sue aspirazioni materiali sono passeggere e che l'amore per i beni materiali è una forma di idolatria. Ciò sta a significare che la capanna rappresenta l'annullamento del possesso ovvero la demolizione delle pareti che sembrano stabili ma che in realtà separano i nostri cuori dalla Shekinà, la presenza immanente della divinità sotto la quale noi ci poniamo per essere protetti e che trapela da quel tetto che non è del tutto chiuso. Avere il cuore e la mente rivolti verso l'alto, verso il cielo porta la pace tra gli uomini. Non a caso nelle preghiere dei giorni di Sukkot si parla di Sukkà shalom, sukkà di pace e nella visione messianica e universalistica del Profeta Zaccaria, alla fine dei tempi,chiunque sarà sopravvissuto tra i popoli che avranno attaccato Israele ritornerà a Gerusalemme per presentarsi davanti a D-o e per celebrare la festa delle Capanne. (Zc.14,16) Questa visione della Sukkà in senso spirituale sarebbe provata da una interessante discussione che si trova nel talmud tra due grandi Rabbini: Rabbi Eliezer e Rabbi Akivà i quali si domandarono di cosa erano fatte le capanne nel deserto. Secondo un opinione le Sukkot erano delle vere e proprie capanne fatte di frasche e canne, secondo un'altra opinione, le Sukkot erano fatte di nuvole, nuvole della Gloria Divina, le Ananè Ha Kavod.

Queste due vedute in realtà non sono l'una opposta all'altra commentano altri rabbini, tanto è vero che non si sa esattamente chi dei due Maestri abbia dato questa o quella interpretazione. In effetti la Sukkà possiede sia una valenza materiale che spirituale. Sicuramente gli ebrei nel deserto vivevano sotto le capanne fatte di materia ma senza la protezione spirituale delle sukkot fatte di nuvole divine difficilmente avrebbero potuto sopravvivere. E' chiaro che tiamo parlando da un punto di vista della tradizione rabbinica e di un periodo considerato dai nostri Maestri eccezionale. Il miracolo dell'uscita dall'Egitto, il miracolo di un popolo che vive 40 anni nel deserto, che riceve la Torah, e la Rivelazione. Ora questo tipo di vita finisce, secondo i nostri rabbini, con l'entrata del popolo ebraico in Israele. Entrando nella Terra gli ebrei furono costretti a vivere una vita materiale (per es. la coltivazione della terra) e questo avvenne perché il compito del popolo d'Israele non era quello di vivere in cielo ma " trasformare la terra in cielo, secondo il commento al verso 115,16 dei Salmi" Il cielo è riservato a D-o ma la terra l'ha data agli uomini". Ecco allora anche il motivo per il quale questa festa viene ricordata nella Torah, nel libro dell'Esodo come Hag Haasif (Es. 23,16) ricordando così anche il suo significato agricolo, festa del raccolto e Zeman Simchatenu, epoca della nostra gioia, perché è comandato anche agli ebrei l'allegria.

Per quanto riguarda le 4 specie di piante scelte dal Signore che gli ebrei dovevano tenere in mano durante la festa molte sono state le interpretazioni. Per alcuni la palma simboleggia la colonna vertebrale, il mirto gli occhi, il salice le labbra, il cedro il cuore. In questo modo tutte le membra del corpo umano si associano nel lodare il Signore. Secondo quanto è scritto nel Salmo 35,10: "Tutte le mie membra diranno: Signore chi è come Te?" Per altri Rabbini le 4 specie rappresentano i vari caratteri degli esseri umani. La palma da frutti dolci e nutrienti ma non ha alcun profumo così come ci sono uomini che compiono buone azioni ma più per senso del dovere che per altruismo e bontà d'animo. Il mirto ha profumo ma non produce frutti: così come quegli uomini che parlano molto ma all'atto pratico non fanno nulla per r trasformare le parole in azioni concrete. Il salice non da né profumo né frutti come quegli uomini che non soltanto non compiono buone azioni, ma sono completamente privi di interesse per gli altri. Tra queste piante spicca il cedro, i suoi rami diffondono un delizioso profumo e suoi frutti sono buoni e nutrienti. Esso simboleggia quegli uomini che aiutano il prossimo sia con il cuore che con le buone azioni. All'epoca del Santuario le 4 specie venivano portate al Tempio ed in base a queste 4 specie oggigiorno per Sukkot si prepara il Lulav, come anticamente. Esso è composto da un ramo di palma, 3 di mirto, due di salice e a parte un frutto di cedro senza difetti e ogni giorno della festa gli ebrei devono prendere le piante in mano: l'etrog nella mano sinistra ed il Iulav con la mano destra. In Sinagoga devono agitare il Lulav secondo un preciso rituale che il Talmud spiega come un modo per tenere lontano i venti maligni che minacciano il raccolto. In genere si vede in questi gesti la volontà di mostrare che la benedizione di D-o raggiunge tutto il mondo.

Ma come era celebrata la festa di Sukkot ai tempi del primo e secondo santuario? All'epoca del Tempio i pellegrini venivano da tutta Israele presentando le loro offerte. La mattina una folla festante si radunava per una processione che avrebbe portato la popolazione dal Monte del Tempio fino alla sorgente dello Sciloach. Alla testa della processione camminava un sacerdote che teneva una brocca piena d'acqua con la quale avrebbe bagnato l'altare. Tornato al Tempio, si dirigeva verso la porta dell'acqua che dava accesso al cortile interno del Santuario. La folla lo salutava con gioia e gli altri sacerdoti suonavano lo shofar. Probabilmente questa cerimonia traeva origine dal versetto di Isaia:" Attingete con gioia l'acqua dai pozzi della salvezza."Sicuramente alla base di questo rito c'è una richiesta di pioggia della popolazione per D. Ma vorrei sottolinearvi che se l'acqua è fonte di gioia è anche causa di inquietitudine perché le piogge sono concesse alla terra solo se essa ne è degna. Attualmente durante la celebrazione della festa di Sukkot, il tema dell'acqua o della richiesta della pioggia al Signore è ancora presente nelle preghiere. Per esempio nella preghiera di Musaf (preghiera aggiuntiva per il giorno festivo) e nelle hoshannot che adesso vedremo. Cosa sono? Dunque, durante la preghiera al Tempio si estrae il rotolo della Torah e si compie un giro Hakkafah intorno all'altare con il lulav cantando le hoshannot, composizioni liturgiche durante le quali si implora al Signore la salvezza e i buoni raccolti ed come vedete, che ritorna il legame originario della festa con i cicli della natura. Durante Sukkot, ogni giorno , per 6 giorni, al tempo del Santuario, veniva fatto un giro intorno all'altare e i sacerdoti cantando le Hoshannot dicevano; "Deh, o Signore salva, deh o Signore facci prosperare", poi sbattevano il lulav sull'altare. Questo uso è rimasto ancor oggi ma gli si è dato un significato diverso rispetto ad un rito semplicemente agricolo che propiziava le piogge.
In ogni modo, al tempo del santuario il momento della festa vera e propria si svolgeva la sera al Tempio. Esso era illuminato da una moltitudine di lucerne, i sacerdoti si sottoponevano a dei veri e propri tour de force lanciando in aria torce accese che poi riprendevano in mano ed i Leviti cantavano i Salmi dei Gradini accompagnandosi con arpe, cembali, flauti e trombe tutta la notte. In seguito alla distruzione del Santuario il rituale più importante della festa è divenuto quello della Sukkà, che deve essere, come vi ho già detto, un rifugio temporaneo in ricordo dell'erranza nel deserto.

Arriviamo così al settimo giorno di Sukkot che si chiama Hoshanna Rabbà (la grande Osanna). Fino al momento della distruzione del Santuario vigeva l'uso di recarsi in una località a Gerusalemme ricca di salici per raccogliere i rami che venivano poi portati al Tempio e posti intorno all'altare in modo che spiovessero su di esso e lo ricoprissero. Anche questa cerimonia in realtà, si ricollegava alla richiesta d'acqua in quanto il salice cresce solo vicino a fonti d'acqua.. Poi venivano fatti 7 giri intorno all'altare. Dopo la distruzione del santuario si è continuato l'uso dei Padri anche in esilio. Così a proposito dei giri ci si comporta in maniera che ricordi i giri che si facevano nel grande Tempio intorno all'altare. I rabbini con in mano dei rami di salice e il lulav girano 7 volte intorno al banco del lettore cantando Hoshannà, suppliche riguardanti l'acqua, la pioggia, e richieste di perdono in quanto quest'ultimo giorno di Sukkot avendo perso l'aspetto agricolo è considerato il giorno in cui D-o pone il suggello definitivo al giudizio iniziato a Rosh Ha-Shanà. Infatti il verdetto del Signore nei nostri riguardi non si conclude definitivamente con il Kippur ma in una specie di ultimo appello il settimo giorno della festa delle Capanne. Durante i giri i rami di salice sono scossi fino a che l'ultima foglia è caduta come simbolo del perdono che il Signore ci ha accordato e questa cerimonia esprime anche la speranza della Resurrezione e nell'avvento dell'era messianica.

Concluderei ricordando le parole di Abraham J. Heschel il quale ha definito l'ebraismo "una religione del tempo, che mira alla santificazione del tempo. I suoi santuari sono il sabato e le feste." E sottolinea Rav Hirsch:" I sacerdoti, i leaders, le guide muoiono, i monumenti vanno in rovina; i templi e gli altari cadono in pezzi ma il tempo sussiste in eterno. Nell'ebraismo il tempo sgorga dalla Bibbia e viene vissuto attraverso i mesi e attraverso le feste e le ricorrenze ebraiche che hanno lo scopo di aiutare gli uomini a raccogliere scintille di luce per affrettare il tempo della pace nel mondo".

 

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