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Gesù, figlio di Israele, popolo eletto dell'Antica Alleanza. Udienza Generale
Giovanni Paolo II, Papa (Wojtyla, Karol) 1920-2005
Saint-Siège (1987/02/04)
1. Delle due genealogie di Gesù, ricordate nella catechesi precedente, quella del Vangelo secondo Matteo (Mt 1, 1-17) ha una struttura “discendente”: elenca cioè gli antenati di Gesù, figlio di Maria, cominciando da Abramo. L’altra, che si trova nel Vangelo di Luca (Lc 3, 23-38), ha una struttura “ascendente”: partendo da Gesù giunge fino ad Adamo.
Mentre la genealogia di Luca indica il collegamento di Gesù con l’umanità intera, la genealogia di Matteo mette in evidenza la sua appartenenza alla stirpe di Abramo. È in quanto Figlio di Israele, popolo eletto da Dio nell’antica alleanza, al quale direttamente appartiene, che Gesù di Nazaret è a pieno titolo membro della grande famiglia umana.
2. Gesù “nasce” in mezzo a questo popolo, cresce nella sua religione e nella sua cultura. È un vero israelita, che pensa e si esprime in aramaico secondo le categorie concettuali e linguistiche dei suoi contemporanei e segue i costumi e le usanze del suo ambiente. Come israelita è erede fedele dell’antica alleanza.
È un fatto messo in risalto da san Paolo quando, nella Lettera ai Romani, scrive del suo popolo: “Essi sono Israeliti e possiedono l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne” (Rm 9, 4-5). E nella Lettera ai Galati ricorda che Cristo è “nato sotto la legge” (Gal 4, 4).
3. In ossequio alla prescrizione della Legge di Mosè, poco dopo la nascita Gesù venne ritualmente circonciso, entrando così ufficialmente a far parte del popolo dell’alleanza: “Quando furono passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo il nome Gesù” (Lc 2, 21).
Il Vangelo dell’infanzia, per quanto povero di particolari sul primo periodo della vita di Gesù, riporta tuttavia che “i suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua”, espressione della loro fedeltà alla Legge e alla tradizione di Israele. “Quando egli (Gesù) ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l’usanza”. “Mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero”. Dopo tre giorni di ricerca “lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava”. Alla gioia di Maria e Giuseppe dovettero sovrapporsi le sue parole, da essi non comprese: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2, 41-43.46.49).
4. All’infuori di questo avvenimento, tutto il periodo dell’infanzia e dell’adolescenza di Gesù nel Vangelo è coperto di silenzio. È un periodo di “vita nascosta”, riassunto da Luca in due semplici frasi: Gesù “partì . . . con loro (con Maria e Giuseppe) e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso” (Lc 2, 51), e: “cresceva in sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2, 52).
5. Dal Vangelo sappiamo che Gesù visse in una propria famiglia, nella casa di Giuseppe, il quale tenne verso il Figlio di Maria le veci di un padre assistendolo, proteggendolo e avviandolo gradualmente al suo stesso mestiere di carpentiere. Agli occhi degli abitanti Gesù appariva come “il figlio del carpentiere” (Mt 13, 55). Quando incominciò a insegnare, i suoi concittadini si domandavano con stupore: “Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria? . . .” (Mc 6, 2-3). Oltre alla madre essi menzionavano anche i suoi “fratelli” e le sue “sorelle”, cioè quei membri della sua parentela (“cugini”), che vivevano a Nazaret, quelli stessi che, come ricorda l’evangelista Marco, cercarono di dissuadere Gesù dalla sua attività di maestro (cf. Mc 3, 21). Evidentemente essi non trovavano in lui alcun motivo che potesse giustificare l’inizio di una nuova attività; ritenevano che Gesù fosse e dovesse rimanere un israelita qualsiasi.
6. L’attività pubblica di Gesù ebbe inizio al trentesimo anno di vita, quando tenne il suo primo discorso a Nazaret: “. . . entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia . . .”. Gesù lesse il brano che cominciava con le parole: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio . . .”. Gesù si rivolse quindi ai presenti e annunciò: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura, che voi avete udito . . .” (Lc 4, 16-18.21).
7. Nella sua attività di maestro, iniziata a Nazaret ed estesasi alla Galilea e alla Giudea fino alla capitale, Gerusalemme, Gesù sa cogliere e valorizzare i frutti abbondanti presenti nella tradizione religiosa di Israele. Egli la penetra con intelligenza nuova, ne fa emergere i valori vitali, ne mette in luce le prospettive profetiche. Non esita a denunciare le deviazioni degli uomini nei confronti dei disegni del Dio dell’alleanza.
In questo modo egli opera, nell’ambito dell’unica e medesima rivelazione divina, il passaggio dal “vecchio” al “nuovo”, senza abolire la Legge, ma portandola invece al suo pieno compimento (cf. Mt 5, 17). È il pensiero con il quale si apre la Lettera agli Ebrei: “Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio . . .” (Eb 1, 1).
8. Questo passaggio dal “vecchio” al “nuovo” caratterizza l’intero insegnamento del “Profeta” di Nazaret. Un esempio particolarmente chiaro è il discorso della montagna riportato nel Vangelo di Matteo. Gesù dice: “Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere . . . Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio” (Mt 5, 21-22). “Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adultero con lei nel suo cuore” (Mt 5, 27-28). “Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori . . .” (Mt 5, 43-44).
Insegnando in tal modo, Gesù allo stesso tempo dichiara: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento” (cf. Mt 5, 17).
9. Questo “compiere” è una parola-chiave che si riferisce non soltanto all’insegnamento della verità rivelata da Dio, ma anche a tutta la storia di Israele, ossia del popolo di cui Gesù è figlio. Questa storia straordinaria, guidata fin dall’inizio dalla mano potente del Dio dell’alleanza, trova in Gesù il suo compimento. Il disegno che il Dio dell’alleanza aveva iscritto fin dall’inizio in questa storia, facendone la storia della salvezza, tendeva alla “pienezza dei tempi” (Gal 4, 4), che si realizza in Gesù Cristo. Il Profeta di Nazaret non esita a parlarne fin dal primo discorso pronunciato nella sinagoga della sua città.
10. Particolarmente eloquenti sono le parole di Gesù riferite nel Vangelo di Giovanni quando dice ai suoi oppositori: “Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno . . .”, e di fronte alla loro incredulità: “Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?”, Gesù conferma ancora più esplicitamente: “In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, lo sono” (Gv 8, 56-58). È evidente che Gesù afferma, non soltanto di essere il compimento dei disegni salvifici di Dio, iscritti nella storia di Israele dai tempi di Abramo, ma che la sua esistenza precede il tempo di Abramo, fino ad identificarsi come “colui che è” (Es 3, 14). Ma proprio per questo è lui, Gesù Cristo, il compimento della storia di Israele, perché “supera” questa storia con il suo mistero. Qui tocchiamo però un’altra dimensione della cristologia, che affronteremo in seguito.
11. Per ora concludiamo con un’ultima riflessione sulle due genealogie riportate dai due evangelisti Matteo e Luca. Da esse risulta che Gesù è vero figlio di Israele e che, in quanto tale appartiene a tutta la famiglia umana. Perciò se in Gesù, discendente di Abramo, vediamo adempiute le profezie dell’Antico Testamento, in lui, scorgiamo, seguendo l’insegnamento di san Paolo, il principio e il centro della “ricapitolazione” dell’umanità intera (cf. Ef 1, 10).