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Lettera dei Vescovi italiani alla Comunità Ebraica d’Italia
Vescovi italiani
Italie (1998/03/16)
La nostra presenza, in questo luogo pieno di memorie, in rappresentanza del Segretariato della Cei per l'ecumenismo e il dialogo, vuole essere un segno di amicizia e di speranza: l’amicizia nostra con voi “fratelli maggiori", in quanto primogeniti nella fede, che avete tante cose da dirci traendole dal tesoro della secolare tradizione biblica; la speranza che la pianta malefica dell'antisemitismo sia sradicata per sempre dalla storia, a cominciare dalle nostre abitudini culturali e linguistiche.
In questi giorni ricordiamo i 150 anni delle libertà civili concesse da Carlo Alberto ai valdesi e agli ebrei nel suo Regno: ed è ricordo gioioso che ci trova partecipi. Ma ricordiamo anche i 60 anni dalle leggi razziali, antiebraiche in Italia: ed è ricordo dolorosissimo, che ci interroga e ci inquieta. «L’ antisemitismo non ha alcuna giustificazione ed è assolutamente condannabile», ha ripetuto per tutti con fermezza e chiarezza Giovanni Paolo Il il 1 ° novembre 1997, nel suo discorso ai partecipanti al Simposio vaticano sui rapporti tra cristiani ed ebrei.
Dalla comune fonte biblica amiamo ricordare a questo proposito due imperativi d’uso frequente: shemá, ascolta! e zekòr, ricorda! e una parola inequivocabile: teshuvà
È vero che, come Lei ha detto, signor Rabbino, “vi fu in Italia antisemitismo di Stato e non di popolo”; ma questo fatto non toglie che si tratti d una pagina oscura della storia recente del nostro Paese. La comunità ecclesiale, anche per lunga acritica coltivazione di “interpretazioni erronee ed ingiuste della Scrittura” (Giovanni Paolo II), non seppe esprimere energie capaci di denunciare e contrastare con la necessaria forza e tempestività l'iniquità che vi colpiva. Scattò spontaneamente però la solidarietà umana e cristiana della gente, e in particolare di tanti sacerdoti e religiosi, quando si passò dalla violenza delle parole alla violenza sull'uomo: la carità venne a mitigare in qualche modo le carenze della profezia, anche se non bastò a fermare la “catastrofe”.
Rievochiamo con disagio, ma con profonda e consapevole teshuvà, queste vicende, per dire che non vogliamo e non possiamo dimenticarle; e le ricordiamo per imparare ad ascoltare di più l’Eterno, amante della vita, unico Signore di tutti, per far nostri pensieri e comportamenti aperti alla piena verità biblica, a partire dalla eminente dignità dell'uomo, sulla quale abbiamo scelto di riflettere nell’ultima giornata di solidarietà con l'ebraismo il 17 gennaio scorso.
Ripensiamo con piacere a questa iniziativa avviata dieci anni fa dal nostro Segretariato, per una corretta presentazione dell'ebraismo nella predicazione e nella catechesi. Essa è stata accolta anche a livello europeo: abbiamo voluto proporla, infatti, nell'assemblea ecumenica di Graz del giugno scorso a tutte le Chiese d'Europa, ottenendovi piena adesione. In quella occasione molto colpì la nostra ferma presa di posizione, tanto da meritare anche il compiacimento del prof René Samuel Sirat, Rabbino Capo di Francia, che era presente.
Dopo indicibili sofferenze, la verità ha vinto sulla menzogna. Tale vittoria, però, è sempre fragile, ha bisogno di continua vigilanza e di permanente conversione. Da parte sua la Chiesa cattolica, a partire dal Concilio Vaticano II, grazie all'incontro di due uomini di fede, Jules Isaac e Giovanni XXIII, la cui memoria è in benedizione, ha virato decisamente su altre rotte, togliendo ogni giustificazione pseudo-teologica all'accusa di deicidio e di perfidia e alle teorie della sostituzione, con il conseguente "insegnamento del disprezzo", matrice di ogni antisemitismo. Ha pure riconosciuto, con Paolo, che i doni del Signore sono irrevocabili e che ancor oggi Israele ha una missione propria da compiere: quella di testimoniare l'assoluta signoria dell’Altissimo, cui deve aprirsi il cuore di ogni uomo.
I tempi che volgono ci chiedono, quale che sia il nostro passato, di riconoscere la verità anche dolorosa dei fatti e delle responsabilità. E la Chiesa cattolica anche in Italia mostra molto chiaramente che non intende sottrarsi a questo dovere, nonostante ritardi o qualche incauta voce ancora attardata su pregiudizi duri a morire.
Lasciamo agli storici di fare del loro, meglio per ricostruire la verità dei fatti ancora intrisi di emotività. Quanto a voi, solo l'Eterno sa attraverso quale iniqua e immane tribolazione siete passati, rimanendo eroicamente fedeli alla vocazione di testimoni del Suo Nome. A noi è chiesto di accelerare la rimozione di pregiudizi e ingiustizie e di favorire stima e rispetto, aprendo la mente e il cuore alla fraternità che ci accomuna nell’amore dell'unico Signore e Padre. È un cammino di purificazione delle memorie, per il quale fiducia e benevolenza, oltre che il perdono del Signore “lento all'ira e grande nell'amore” (Salmo 108,3). È un segno di pacificazione che vorremmo condiviso, per darne testimonianza insieme in questo nostro tempo ancora così discorde e lacerato, collaborando alla difesa della libertà e della giustizia, dei diritti civili e religiosi di tutti gli uomini, a cominciare dal nostro Paese e dovunque tra i popoli.
Con questi sentimenti siamo qui a rendere omaggio, signor Rabbino Capo e signora Presidente, a voi, ai vostri collaboratori, ai Rabbini e ai membri delle Comunità Ebraiche italiane, con la fiducia che la svolta positiva dei nostri rapporti, nel rinnovato contesto di libertà civili e religiose, ci porti a darci la mano dell’alleanza per cooperare insieme al bene di tutti, in prospettiva del Regno.
Roma, 16 marzo 1998