23/11/2004: Mons. Pier Francesco Fumagalli
Quando Paolo VI il 22 ottobre 1974 istituì la Commissione della Santa Sede per i rapporti religiosi con l’Ebraismo (CRRE), già da alcuni anni, precisamente il 23 novembre 1970, era stato creato a Roma un Comitato internazionale di collegamento cattolico-ebraico o ILC (International Catholic-Jewish Liaison Committee). [1] Composto inizialmente di cinque delegati per ciascuna delle due parti, ha continuato a svolgere la sua attività ininterrottamente nei 35 anni seguenti, fino ad oggi, tenendo 18 sessioni plenarie ordinarie e 2 straordinarie; le iniziative sono state normalmente coordinate da un comitato esecutivo congiunto, e il numero dei suoi membri è progressivamente cresciuto, arrivando a circa 25 tra delegati ed esperti cattolici ed altrettanti ebraici. I cinque delegati ebraici vennero inizialmente designati dai cinque organismi fondatori dell’International Jewish Committee on Interreligious Consultations (IJCIC), la cui istituzione risale egualmente al 1970; [2] i membri di parte cattolica vennero nominati con l’approvazione di papa Paolo VI.
L’opera dell’ILC si regola secondo i principi e le norme concordate in un Memorandum d’intesa che venne sottoscritto a Roma all’atto dell’istituzione, al termine di un fondamentale incontro di quattro giorni, al quale parteciparono rappresentanti dell’allora Segretariato (oggi Pontificio Consiglio) per l’Unità dei Cristiani, dell’Ufficio vaticano per le relazioni cattolico-ebraiche, delle Congregazioni della Dottrina della fede, delle Chiese orientali e dell’Educazione cattolica, della Commissione (oggi Pontificio Consiglio) Giustizia e Pace, e della Segreteria di Stato. Il Memorandum allora concordato, che per la sua importanza viene riportato integralmente nell’originale inglese al termine di questa relazione, esordisce così:
“il carattere dei rapporti fra cattolici ed ebrei ha un fondamento di tipo religioso, ma le loro relazioni si estendono all’intero complesso dell’attività umana ovunque si svolga. Un modello di sviluppo concreto per queste relazioni deve, di conseguenza, basarsi su una struttura avente quale premessa la fede religiosa”. [3]
Secondo una valutazione datane nel 1985 dal cardinale Johannes Willebrands, che ne fu tra i principali sostenitori ed animatori per due decenni, il Comitato è
“l’unico organo ufficiale che unisce la Santa Sede e la comunità ebraica. [4] Pur entro i suoi limiti, è un simbolo ed uno strumento effettivo delle nostre relazioni. Credo che noi dobbiamo ulteriormente valutare molto attentamente in qual modo possiamo farne uso per approfondire, favorire, applicare in molti modi nella vita, questa nostra relazione, entro i termini di riferimento concordati nel Memorandum d’intesa nel dicembre 1970. Questo Comitato è, in realtà, il solo luogo dove ci è possibile incontrarci come rappresentanti cattolici ed ebrei ufficialmente delegati (con quell’asimmetria così caratteristica del nostro rapporto), faccia a faccia, pienamente consapevoli della responsabilità che l’attuale stato delle nostre relazioni pone sulle nostre spalle, su ciascuna delle due parti e su noi congiuntamente». [5]
L’opera dell’ILC si può finora riassumere distinguendola in tre fasi, la prima delle quali, dal 1971 al 1973, fu di carattere sperimentale, e si concluse in coincidenza con l’istituzione della Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo, l’anno seguente. Durante questo triennio, nel corso delle riunioni di Parigi, Marsiglia e Anversa, venne principalmente trattato l’argomento “Popolo, terra e nazione” caro alla tradizione biblica e ricco di concrete implicazioni riguardo al modo di considerare la problematica mediorientale e la rinascita dello stato d’Israele.
Dopo la creazione della CRRE seguì un ventennio di intenso e fruttuoso dialogo, dal 1974 al 1993, nel quale si tennero 13 sessioni, due delle quali straordinarie in Vaticano; in questo lungo periodo l’attenzione fu concentrata soprattutto su tematiche educative, diritti umani, missione e testimonianza, antisemitismo e Shoah. [6] Le due sessioni straordinarie ebbero luogo rispettivamente il 31 agosto-1 settembre 1987 e il 5-6 dicembre 1990, quest’ultima in occasione del venticinquesimo anniversario della dichiarazione conciliare Nostra aetate.
La terza fase, il cui inizio coincide con il perfezionamento dei rapporti diplomatici tra la Santa Sede e lo stato d’Israele, il 30-31 dicembre 1993, comprende le sessioni XV-XVIII, la prima delle quali tenutasi a Gerusalemme nel maggio 1994, fino alla più recente di Buenos Aires nel 2004. [7] Questo terzo periodo, che tuttora continua, appare caratterizzato da due fattori tra loro interdipendenti: la pubblicazione periodica, dal 1994, di documenti congiunti su vari temi, e un più deciso orientamento verso la collaborazione pratica e diretta in aree di comune interesse nel campo dell’azione sociale e dell’antisemitismo. Come si può vedere dall’esame dei cinque documenti comuni dell’ILC, qui riportati in Appendice nell’originale inglese, questi brevi testi di fatto rappresentano una tappa nuova nell’evoluzione dei rapporti ufficiali cattolico-ebraici, tanto nella forma quanto nella sostanza. La riunione di Gerusalemme (1994) si era conclusa con una dichiarazione sulla famiglia; il successivo incontro dell’ILC in Vaticano (1998) aveva avuto come frutto un testo congiunto sull’ecologia, mentre a New York (2001) vennero pubblicati un documento particolarmente dettagliato sui luoghi santi di tutte le religioni e la libertà religiosa, ed una dichiarazione sull’educazione. La XVIII sessione, a Buenos Aires, ha portato all’elaborazione di un testo comune sui temi della carità e della giustizia, unito ad un impegno a favore dei centri cattolici ed ebraici che nella capitale argentina svolgono attività sociali, culturali e caritative specialmente verso i più poveri.
Il primo documento congiunto trattò, nel 1994, un tema di rilevanza centrale sia per l’Ebraismo che per il Cristianesimo, quello della famiglia, sul quale esiste un’ampia convergenza di vedute nelle due tradizioni religiose. E’ perciò utile prendere in considerazione almeno l’esordio del testo:
“Le concezioni ebraica e cristiana riguardo alla famiglia sono fondate sulla descrizione biblica della creazione duale dell’essere umano – uomo e donna – a immagine di Dio, e sulla natura duale dell’alleanza di Dio con i patriarchi e le matriarche – come nel caso congiunto di Abramo e Sara. Noi affermiamo il valore sacro e intrinsecamente buono del matrimonio stabile e della famiglia. Sottolineiamo anche il suo valore nel trasmettere l’eredità religiosa e morale dal passato al presente e per il futuro. Il popolo ebraico e la chiesa cattolica rappresentano due antiche tradizioni che lungo i secoli hanno offerto e ricevuto il sostegno della famiglia. Oggi, durante quest’anno internazionale dedicato alla famiglia, possiamo insieme dare un solido contributo al dibattito generale su questi temi”.
In questo paragrafo va notato il rimando sostanziale al dato della Bibbia ebraica, in particolare alla Torah, che nel primo libro – Bereshit o Genesi – appare quale fonte principale di riferimento comune su questo argomento, per ebrei e cristiani. Questo medesimo orientamento di fondo riappare anche in altri testi, come ad esempio nel documento del XVI incontro dell’ILC in Vaticano (1998); in questa seconda dichiarazione, a proposito dell’ecologia, si afferma:
“La preoccupazione per l’ambiente ha condotto sia cattolici che ebrei a riflettere sulle implicazioni concrete della loro fede in Dio, creatore di tutte le cose. Rivolgendosi alle loro scritture sacre, entrambi hanno scoperto le fondamenta religiose e morali del loro dovere di prendersi cura dell’ambiente”.
Anche in questo caso, il riferimento biblico esplicito è a Genesi 1-2, ma sono citati anche altri tre libri della Torah: Esodo, Levitico e Deuteronomio.
Un simile riferimento biblico al passo di Genesi 1, 26 ritorna pure nella dichiarazione di New York sulla libertà religiosa e la tutela dei luoghi santi (2001), là dove si ricorda che
“la libertà di religione e di coscienza, che include i diritti delle comunità religiose all’interno della società, è radicata e ha origine dalla libertà delle persone dinanzi a Dio. Come ebrei e come cristiani, scopriamo le radici di questo concetto nella dignità di tutte le persone create ‘a immagine e somiglianza di Dio’ (Genesi 1, 26). La libertà religiosa si realizza mediante l’esercizio di specifici diritti. Tra questi sono inclusi: la libertà di culto, la libertà nella manifestazione pubblica della propria fede e nella pratica della propria religione, la libertà delle comunità religiose di organizzarsi autonomamente e di dirigere le proprie attività senza interferenze, il diritto ad esprimere le implicazioni sociali del proprio credo, a tenere riunioni, ad istituire organizzazioni educative, assistenziali, culturali e sociali in conformità alle finalità spirituali della propria tradizione religiosa».
Nell’ultimo testo congiunto di Buenos Aires (2004) si introduce un riferimento esplicito, per la prima volta, anche alle parallele fonti evangeliche, ed a fonti successive di entrambe le tradizioni, inclusi documenti pontifici recenti:
“Il nostro comune impegno per la giustizia è profondamente radicato in entrambe le nostre fedi. Richiamiamo la tradizione di aiutare le vedove, gli orfani, i poveri e gli stranieri in mezzo a noi, in accordo con il comando divino (Esodo 22, 20-22; Matteo 25, 31-46). I saggi d’Israele svilupparono un’ampia dottrina di giustizia e carità verso tutti, fondata su un’elevata comprensione del concetto di Tzedeq. Sulla base della tradizione della chiesa, papa Giovanni Paolo II nella sua prima enciclica Redemptor hominis (1979) ha ricordato ai cristiani che una genuina relazione con Dio richiede un forte impegno di servizio al proprio prossimo”.
L’attività svolta dalla CRRE nel promuovere direttamente il dialogo attraverso le riunioni plenarie dell’ILC non copre, evidentemente, tutta l’opera svolta né dalla Commissione né dal Comitato misto. L’azione dell’ILC è stata estremamente preziosa quale supporto nel lavoro della Commissione al fine di elaborare i suoi tre documenti: Orientamenti e suggerimenti (1974), Note (1985) e Noi ricordiamo (1998). Oltre a tutti quegli ambiti che il cardinale Jorge Mejía ha ricordato con grande competenza nella sua relazione, [8] possiamo almeno menzionare alcuni dei principali documenti ecclesiali emanati tra il 1988 e il 2004, nei quali in un modo o nell’altro si fa tesoro o si cita esplicitamente qualche testo della CRRE, il che implicitamente significa fare anche riferimento al lavoro dell’ILC che è sempre stato di supporto, preparazione e interpretazione a volte critica di tali documenti. Nel documento del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace su La Chiesa di fronte al razzismo (1988), ad esempio, un ampio paragrafo è dedicato all’antisemitismo e all’antisionismo. Il nuovo Catechismo della chiesa cattolica (1992) tratta in più luoghi dei rapporti con gli ebrei, recependo le conclusioni del dialogo cattolico-ebraico, e il Direttorio ecumenico pubblicato nel 1993 dal Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani invita tutti i cristiani delle varie confessioni a unirsi per combattere l’antisemitismo. Di particolare importanza sono stati, nel 1997, il simposio intraecclesiale sul tema dell’antigiudaismo di matrice cristiana, [9] e i successivi documenti in qualche modo ad esso collegabili, l’uno della Commissione teologica internazionale, [10] l’altro della Pontificia commissione biblica. [11] Infine, il Compendio della dottrina sociale della Chiesa pubblicato dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace nel 2004, al n. 506 tra i “delitti contro Dio e l’umanità” cita l’orrendo crimine della Shoah.
I protagonisti di questi laboriosi trentacinque anni di attività sono stati molto numerosi, perché alle riunioni dell’ILC sono sempre stati invitati degli esperti, a livello nazionale ed internazionale, coinvolgendo localmente le chiese e le comunità ebraiche, anche in una prospettiva ecumenica ed interreligiosa. Il comitato esecutivo dell’ILC si riuniva generalmente a Roma o Ginevra, alternativamente, e tra gli animatori di parte ebraica un ruolo principale era svolto dal dottor Gerhart M. Riegner (1911-2001), [12] al quale idealmente sono dedicate queste pagine, nel terzo anniversario della sua scomparsa in Ginevra.
L’attività dell’ILC richiedeva un affiatamento che si è affinato negli anni, coinvolgendo da parte cattolica tutti i principali responsabili della CRRE; da parte ebraica furono particolarmente attivi, tra gli altri, a Roma Fritz Becker e Joseph Lichten, a Ginevra Jean Halpérin. Dal 1987 ad oggi, inoltre, l’IJCIC ha provveduto a incaricare il professor rabbi Leon A. Feldman di New York, segretario esecutivo dell’IJCIC, per seguire più da vicino l’attività dell’ILC.
Per offrire un esempio particolarmente significativo del clima nel quale si svolgevano gli incontri, si può qui rievocare brevemente il dialogo avvenuto in vista della riunione straordinaria dell’ILC, convocata a Roma tra la fine di agosto e l’inizio di settembre del 1987. [13] A Roma e in Vaticano si sta allora lavorando per preparare l’imminente viaggio apostolico che il Papa inizierà pochi giorni dopo negli Stati Uniti. Una preoccupazione in più viene dalle recenti tensioni – non è una novità – che agitano le acque dei rapporti con le organizzazioni ebraiche mondiali: stavolta, le inquietudini principali durante l’estate sono state causate dall’udienza papale concessa al presidente austriaco Kurt Waldheim, sospettato di collaborazione con i nazisti, e più in generale da una certa impressione che si voglia ‘banalizzare’ o ‘cristianizzare’ la Shoah. Non solo l’annosa questione del convento carmelitano nel “Vecchio Teatro” di Auschwitz, ma anche la beatificazione di Edith Stein a Colonia, alcuni mesi prima, il 1 marzo 1987, hanno suscitato accese critiche a motivo delle origini ebraiche della suora carmelitana, deportata e uccisa ad Auschwitz come milioni di altri ebrei, e ora proposta come modello di martire della fede cattolica.
Per questi motivi, il rabbino Mordechai Waxman, presidente del Consiglio delle Sinagoghe d’America e moderatore dell’International Jewish Committee on Interreligious Consultations, e il cardinale Willebrands, presidente della Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo, si sono accordati per convocare una riunione straordinaria di delegati ed esperti – una ventina in tutto – che ha assunto la forma di una sessione speciale del Comitato internazionale di collegamento cattolico-ebraico. Il pomeriggio di domenica, 30 agosto, il dottor Riegner, con il rabbino Waxman, p. Pierre Duprey, vicepresidente della commissione vaticana, ed il segretario p. Pier Francesco Fumagalli, si riuniscono per preparare i dettagli delle sessioni, nella casa romana del cardinale Willebrands. Riegner, dopo aver sottolineato l’importanza di compiere un passo nuovo sulla strada del dialogo, con tono pacato ma insieme vibrante e pieno di sofferta memoria, viene al punto sostanziale: per dissipare le inquietudini e la sfiducia che agitano le comunità ebraiche riguardo alla sincerità del dialogo, e confermare l’autorevole orientamento che il Papa continuamente dà con il suo magistero, come ha fatto di recente a Varsavia, il tempo è maturo per un documento della Chiesa – forse anche un’enciclica – che affronti in modo complessivo i gravi temi della Shoah e dell’antisemitismo, nelle sue radici storiche e religiose, aspetti che sono in qualche modo collegati con la storia e con il futuro dei rapporti ebraico-cristiani. Tuttavia – conclude – non si tratta di un progetto che noi ebrei possiamo suggerirvi o chiedervi di considerare; solo voi potete prendere autonomamente una simile iniziativa, che però avrebbe certamente anche un effetto straordinariamente positivo sull’Ebraismo mondiale; in particolare, se annunciata ora, alla vigilia del viaggio papale negli Stati Uniti, la decisione impressionerebbe profondamente e positivamente le grandi e vivaci comunità ebraiche americane, oggi agitate da dubbi e critiche su ciò che la Chiesa pensa della Shoah.
Riegner si interrompe… C’è solo un breve silenzio pieno di qualcosa d’intenso, di un’attesa gravida, di un peso di memorie, come prima di riconoscersi dopo una lunga assenza. Ma è poco più di un attimo: le parole di deciso assenso di Willebrands risuonano brevi e meditate, quasi come a colmare un’attesa antica, a rispondere a un gesto di fraterna fiducia e di verità, forte come un grido. Da questo incontro scaturirà il processo di teshuvah e riconciliazione, tuttora in corso, nel quale si inserirà anche il documento Noi ricordiamo: una riflessione cristiana sulla Shoà.
Oggi, tra le sfide che l’ILC si trova a dover accogliere, si pone quella che lo Sheikh Abdullah Bin Khalifa al-Thani, primo ministro del Qatar, ha espresso come un voto alla seconda Conferenza internazionale sul dialogo tra Islam e Cristianesimo, tenutasi a Doha dal 27 al 30 maggio 2004:
“Il dialogo interreligioso sarà più completo quando anche la comunità ebraica parteciperà a questo forum”.
[1] Cfr. International Catholic-Jewish Liaison Committee, Fifteen Years of Catholic-Jewish Dialogue, 1970-1985, Selected Papers (Roma - Città del Vaticano, Pontificia Università Lateranense - Libreria Editrice Vaticana, 1988); J.L.Lichten, Origine del Comitato internazionale di collegamento cattolico-ebraico (1970-1982), in Le chiese cristiane e l’ebraismo (1947-1982). Raccolta di documenti, a cura di G. Cereti – L. Sestieri (Casale Monferrato, Marietti, 1983), pp. 376-383. Per tutti i resoconti e le informazioni generali sull’attività dell’ILC si può consultare la rivista bilingue, in inglese e in francese, «Information Service» / «Service d’information» del Segretariato (oggi Pontificio Consiglio) per l’Unità dei Cristiani. Informazioni e documentazione generale su questo argomento si trovano pure nell’opera Fratelli prediletti. Chiesa e popolo ebraico, Documenti e fatti, 1965-2005, Prefazione di W. Kasper, a cura di P.F.Fumagalli (Milano, Mondadori 2005) [in stampa].
[2] Le cinque organizzazioni ebraiche che istituirono l’IJCIC furono: l’American Jewish Committee, B’nai B’rith International, la sezione ebraica dell’Israel Interfaith Association, il Synagogue Council of America e il World Jewish Congress.
[3] Cfr. Appendice. Il testo del Memorandum si trova pubblicato in Fifteen Years of Catholic-Jewish Dialogue, pp. XV-XVI.
[4] All’epoca, infatti, non era ancora stato istituita la più recente Commissione mista per il dialogo ebraico-cattolico in Israele, sorta nel 2002 a Gerusalemme.
[5] J. Willebrands, Nostra Aetate twenty Years Later, in Fifteen Years of Catholic-Jewish Dialogue, p. ??
[6] A quest’ultimo argomento venne dedicata l’intera XIII sessione plenaria di Praga, della quale furono pubblicati per iniziativa dell’ILC gli Atti nel fascicolo XXXVI/3° della rivista «Istina» (Praga, 3-6 settembre 1990): Après la shoa. Juifs et chrétiens s’interrogent.
[7] A proposito di quest’ultima, cfr. N.J. Hofmann, Dialogo su giustizia e carità, ne «il regno – attualità» 14/2004, p. 449.
[8] Cfr. supra, ??
[9] Cfr. AA.VV., Radici dell’antigiudaismo in ambiente cristiano, Colloquio Intra-Ecclesiale, Atti del simposio teologico-storico, Città del Vaticano 30 ottobre – 1 novembre 1997 (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2000: Atti e Documenti, 8).
[10] Commissione teologica internazionale, Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato (2000).
[11] Pontificia commissione biblica, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia Cristiana (2001)
[12] Cfr. G.M. Riegner, Ne jamais désespérer. Soixant années au service du peuple juif et des droits de l’homme (Paris, Cerf, 1998) (trad. ted.: Niemals verzweifeln: Sechzig Jahre für das jüdische Volk und die Menschenrechte, Gerlingen, Bleicher Verlag, 2001).
[13] L’episodio sarà più ampiamente commentato nel libro Eredi, che lo scrivente sta preparando per l’editore Mondadori.